La Fine del Mondo, il capitolo finale della Trilogia del Cornetto di Edgar Wright e Simon Pegg è disponibile da ieri in home video.

Dopo avervi fatto leggere l'intervista a "Gary King", ovvi vi proponiamo, sempre grazie al materiale fornitoci dalla Universal Home Entertainment, quella all'inseparabile Nick Frost.

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D: La vita per te è stato un processo di evoluzione e maturazione piuttosto lento, come per Gary King, o sei più come il tuo personaggio, Andrew?

R: Tendo a procede avanti come uno schiacciasassi. Alla fine mi fermerò, e questa è una delle cose positive del sottoscritto. Cioè, guarda Gary King: ha 40 anni e con la testa è rimasto fermo ai 18 anni. Una maniera terribile per mandare completamente sprecati 22 anni di vita, trascorsi passando a rimpiangere i 18 anni e a ascoltare i 

Sisters of Mercy. Personalmente penso che si possano fare entrambe le cose. Puoi anche fermare il tuo orologio musicale, ma sarebbe meglio continuare a progredire in avanti per le altre cose. Non vedo più nessuno dei tempi della scuola, non ho mai contattato nessuno e sono davvero terribile nei discorsi di circostanza.

 

D: Non ti piace nessuno dei tuoi ex compagni di scuola?

R: Li amavo molto, ma a quel tempo.Ma ora non c’è più spazio. Dove vivo adesso è la mia casa. Sono un nomade spirituale! No, davvero, non mi è mai piaciuto uscire in gruppo coi compagni di scuola. Non fraintendermi, c’è stato un periodo fra i 18 e i 30 in cui ti capita di uscire un sacco. Non ho incontrato mia moglie fino ai 29 anni quindi ho avuto un lasso di tempo bello pieno da sfruttare. Fra di noi va bene perché anche lei tende a essere una casalinga. Adora il buon cibo e io mi diverto a cucinare. Lei è un po’ più grande di me e conosciamo gente qua e là. Siamo appena tornati da Majorca dove c’era questa casa favolosa con una cucina posta all’esterno. Ogni giorno trascorrevo cinque ore preparando la cena. Amo cucinare.

 

D: Hai proprio lavorato in un ristorante quando eri giovane?

R: Si, cucinavo già prima di diventare un attore. Servivo ai tavoli, ma alla fine ero arrivato a un punto in cui, dopo quattro o cinque anni, mi sentivo alquanto infastidito dalla relazione con i clienti. Mi ricordo che una volta ero davvero ultra-indaffarato e stavo servendo una porzione di costine a una signora. Lei mi fa “Mi scusi” in maniera molto capricciosa e io le domando “Va tutto bene?” e lei “Non, non va niente bene” con tono decisamente fastidioso . Io le chiedo “Perché? Cosa c’è di sbagliato?” e lei “Queste costarelle hanno le ossa!”. Avevo raggiunto il limite. E’ stato davvero quello il momento in cui ho detto al mio manager “Devi spostarmi in cucina” e sono finito a cucinare.

 

D: Hai l’impressione di fare una vera e propria rimpatriata ogni volta che lavori con Edgar Wright e Simon Pegg?

R: E’ bello lavorare con loro. Siamo migliori amici ed è sempre piacevole spendere del tempo con i tuoi migliori amici. Ma fare un film non è un gioco. Quindi non è mai una rimpatriata nel senso stretto del termine. Non abbiamo il tempo necessario per indulgere in attività oziose all’insegna del “Eccoci qua! I tre amigos!”. Lavoriamo sodo, davvero.

 

D: C’è questo pub famoso a Camden, il World’s End appunto, dove vi capitava di andare spesso. Ha avuto effettivamente una parte nell’ispirazione dello script di Edgar e Simon?

R: Si. Io, Simon e Edgar c’incontravamo spesso lì perché io e Simon vivevamo a Kilburn, mentre Edgar a Islington, così ci beccavamo in quel pub.In maniera alquanto buffa non bevevo da tre anni e mezzo quando avevo 21 anni e il World’s End è stato il posto dove ho ricominciato a tracannare tre anni e mezzo dopo. Quella volta ero entrato al suo interno, ho ordinato una pinta, ma poi l’hp lasciata lì. Sono uscito, ho camminato per dieci minuti, ma poi sono tornato dentro ed era ancora lì. Sul bancone, come illuminata. E l’ho bevuta.

 

D: Perché avevi smesso di bere?

R: Ero arrivato a un punto in cui il fine non giustificava più i mezzi. Ho vissuto in Israele per un periodo quando avevo 18 anni ed è stato come essere all’università. Tutto quello che facevamo tre minuti dopo aver smesso di lavorare era bere. Ero arrivato a un punto in cui mi sono detto “Diamo una possibilità all’astinenza!”. 

 

D: Com’era stare seduti al pub durante le pause di lavorazione del film, con la macchina da presa che non filmava? Era Simon Pegg a tenere banco visto che interpreta Gary King?

R: No, probabilmente era Paddy Considine visto che è così ostinato, dispettoso, intelligente, divertente e piacevole. Un sacco di volte ci ritrovavamo seduti a osservarlo ed era davvero uno spasso. Tutto il tempo. Andava per lo più così e, in più, stuzzicavamo di continuo Martin Freeman. Per qualche assurdo e inspiegabile motivo, il nostro coreografo aveva deciso di chiamarlo il “Piccolo Martin” un gionro. E la cosa ha rapidamente preso piede fra tutti noi. Poi è arrivato Lo Hobbit e abbiamo iniziata chiamarlo Piccolo Martin, ma con accento Neozelandese!

 

D: Pare che tu ti sia divertito a girare le scene d’azione.

R: Gran parte del merito da a Brad Allan, l’unico occidentale con cui Jackie Chan ha collaborato con le coreografie di lotta. Lui e il suo team sono straordinari. Abbiamo avuto quattro settimane per imparare le mosse che Brad e la sua squadra avevano registrato con una videocamera. Loro preparavano il loro montaggio della scena, lo mostravano a Edgar e poi si presentavano in sala prove e ci dicevano “Guardate questo!”e ti ritrovavi di fronte questa clip di due minuti e mezzo letteralmente straordinaria. E poi ti dicevano “Dovete fare queste cose qua!”. E poi iniziava quel lento processo di apprendimento e prova per dare forma alle sequenze. Ho dovuto imparare un po’ di arti marziali, inoltre il mio personaggio è un giocatore di rugby e c’erano delle mosse che poteva fare in quanto tale. Per la scena di lotta presso il The Beehive ci sono voluti otto, nove giorni di riprese in cui abbiamo combattuto per circa undici ore al giorno.