Da quando le storie di attentati sono diventate un vero e proprio genere, con i suoi di personaggi archetipici (la vittima/eroe, la famiglia a casa, i lavoratori del giorno della tragedia) e le sue scene chiave (l’inizio idilliaco, l’annuncio della minaccia, la guerriglia durante l’attentato, il finale con le foto dei veri protagonisti della storia) è diventato chiaro che il dettaglio da cui è possibile capire la serietà delle intenzioni del film è il rapporto che questo stringe con gli attentatori. Un veterano e fondatore del genere come Peter Berg ha una posizione molto chiara: non li mostra se non di sfuggita, con pochi tratti e li lascia all’immaginazione (più che altro negativa) del pubblico, non gli interessano e li disprezza.
Attacco a Mumbai invece fa il lavoro contrario, gli dedica ampie fette di racconto e cerca come può di approfondirli. Paradossalmente non sono loro i suoi nemici.

C’è negli attentatori dei veri attacchi che nel 2008 colpirono l’hotel Taj di Mumbai una soffe...