Il solo fatto che Adele Tulli sia riuscita a realizzare un documentario sull’influenza che il gender ha nelle azioni e attività di tutti i giorni ha un che di stupefacente. Che poi questo documentario sia uno dei migliori dell’anno, dotato di un impatto visivo potentissimo, curato come raramente capita ai documentari italiani (troppi, troppo approssimativi, troppo affidati al contenuto) era davvero imprevedibile.
Raccontato con un’episodicità che ricorda Frederick Wiseman, che conduce il film attraverso una serie di quadretti, ovvero momenti separati tra loro che si svolgono in tempi e luoghi diversi, popolati da persone diverse tra loro, Normal cerca una vicinanza che Wiseman fugge. Molto più partecipe, molto più parziale (in ogni inquadratura il film ha ben chiaro con chi sta), Normal mostra ragazzi, ragazze, bambini, bambine, donne e uomini, quasi sempre separati in attività monosessuali (maschi che fanno cose da maschi e femmine che fanno cose da femmine). La maniera in cui li guar...
Tramite una serie di quadri slegati tra loro Normal costruisce un mosaico straordinario, capace di riflettere sul ruolo che gioca il condizionamento sociale nel comportamento e nelle attività di maschi e femmine
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