Il Golden Glove è un bar.

La storia di questo film è quella di un noto serial killer attivo ad Amburgo negli anni ‘70 che in quel locale avvicinava le sue vittime. È il bar il protagonista di questo film, simbolo di quel mondo derelitto, squallido e sudicio che riesce a campare solo stordito dall’alcol, in cui un uomo orrendo ravanava le donne più disperate e intontite dalle bevute per del sesso insoddisfacente che spesso culminava in una macelleria. E quel bar è un posto incredibile, è la vera impresa del film. Una creazione iperrealista che a primo impatto sembra il bar in cui inizia La Paura Mangia L’Anima privato però della patina cinematografica e restituito alla reale puzza e sporcizia.

Lì si muove il serial killer Fritz, un Jonas Dassler truccato perché l’omicida appaia in tutta la sua mostruosità, respingente come Jeff Goldblum verso la metà di La Mosca. La prima sequenza ce lo mostra al lavoro su un cadavere nella sua squallida soffitta puzzolente e lurida, piena di pin-up nud...