Non c’è bisogno di aver visto A Quiet Place per capire che Bird Box non sfrutta davvero fino in fondo il suo presupposto. Qualcosa è arrivato, qualcosa che se viene visto spinge le persone a suicidarsi. Le città sono nel caos, la gente muore a grappoli trascinando altri con sé e solo pochi fortunati non hanno visto niente prima di capire che non devono più guardare nulla, se non al chiuso. Vivere bendati, fare tutto senza guardare, aspettare e capire se si ci sarà una vita normale un giorno. Il punto è il medesimo, ribaltato, del film di John Krasinski ma le implicazioni e le idee che Susanne Bier mette in scena e che Eric Heisserer ha scritto adattando il romanzo di Josh Malerman, non spaziano davvero in quell’universo di possibilità.
Seguiamo la storia secondo due linee temporali: una è quella dell’origine di tutto, il primo giorno in cui il mondo ha iniziato ad impazzire per via di questa sindrome; l’altra è 5 anni dopo la catastrofe, con una Terra decimata, la protagonista che non ...
Poco fiducioso del suo spunto di partenza Bird Box non è preciso e cerca di creare interesse mescolando la storia
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