Piaccia o non piaccia il suo punto di vista cinico e disilluso sulla società, nessuno come Michael Haneke è riuscito in questi 30 anni a raccontare storie capaci di colpire lo spettatore per fargli del male davvero, lasciando delle ferite difficili da rimarginare, generando immagini di indicibile atrocità senza bisogno di ricorrere per forza alla violenza ma puntando sull’umiliazione, l’ingiustizia e il senso di sofferenza intima di protagonisti che questo regista e sceneggiatore austriaco sembra odiare e disprezzare con tutte le proprie forze.

Per questo motivo Happy End si presenta come un film di qualcuno che lo imita e non l’originale, una copia taroccata e quindi più fragile dei modelli aurei, realizzata con meno cura, maestria e senza il guizzo che lo ha reso famoso.
Anche in quest’ultimo film c’è sempre quello strano e misterioso senso della suspense che alimenta tutti i suoi film, una tensione verso la scoperta di “qualcosa”, di un dettaglio strano e incomprensibile (solitament...