Dogman
di Matteo Garrone
17 maggio 2018
Per definizione in un film di Matteo Garrone non può esistere l’errore di casting. Perché sono film che partono dagli attori (o non attori), dalle loro facce e dai loro corpi, e aderendo ad essi si formano. Come sempre girato cronologicamente (prima la prima scena, poi la seconda, poi la terza ecc. ecc.) anche Dogman non fa eccezione e addirittura è così legato alle fattezze e al contributo dei suoi protagonisti che pure il finale, molto diverso dal fatto di cronaca, suona come l’unico davvero coerente e sensato al termine di quel viaggio con Marcello e Simoncino.
Marcello ha un salone di bellezza per cani e una figlia, da una moglie da cui ha divorziato, che è la luce dei suoi occhi, con lei fa tutto e per lei farebbe di tutto. Vive nella periferia estrema, in un quartiere che pare un villaggio nel quale si vogliono tutti bene e lui è benvoluto. Purtroppo è suo amico anche Simoncino, ex pugile violento e cocainomane che lo vessa, umilia e lo porta a forza sulla cattiva strada. Tutti t...
Tra malavita, voglia di affetto e una tenerezza sconfinata Dogman dimostra che lo stile pazzesco di Garrone può raccontare qualsiasi cosa
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