Per definizione in un film di Matteo Garrone non può esistere l’errore di casting. Perché sono film che partono dagli attori (o non attori), dalle loro facce e dai loro corpi, e aderendo ad essi si formano. Come sempre girato cronologicamente (prima la prima scena, poi la seconda, poi la terza ecc. ecc.) anche Dogman non fa eccezione e addirittura è così legato alle fattezze e al contributo dei suoi protagonisti che pure il finale, molto diverso dal fatto di cronaca, suona come l’unico davvero coerente e sensato al termine di quel viaggio con Marcello e Simoncino.

Marcello ha un salone di bellezza per cani e una figlia, da una moglie da cui ha divorziato, che è la luce dei suoi occhi, con lei fa tutto e per lei farebbe di tutto. Vive nella periferia estrema, in un quartiere che pare un villaggio nel quale si vogliono tutti bene e lui è benvoluto. Purtroppo è suo amico anche Simoncino, ex pugile violento e cocainomane che lo vessa, umilia e lo porta a forza sulla cattiva strada. Tutti t...