Diviso in due, con una prima parte densa di un delirio audiovisivo di colori, immaginario metal, sangue e musica elettronica e una seconda più consapevole, ironica e postmoderna, in cui quanto di accumulato fino a quel momento in fatto di austerità e rigore viene sciolto in una serie di risate e ammiccamenti tra il parodistico, il consapevole e il puro Nicolas Cage (genere di espressionismo a sé), Mandy vuole essere tutto: Lynch, Refn e Rodriguez.
Il film di Cosmatos inizia promettendo tantissimo con un bolso Cage che sega via alberi per lavoro e torna a casa in un elicottero che ha il design del furgoncino dell’A-Team, in sottofondo: Starless dei King Crimson. Arriva a casa da una moglie e la loro vita è così dolce e isolata nel bosco che già sappiamo sarà necessariamente sconvolta da una serie di mostri molto umani e poco diabolici, resi tali (scopriremo) da droghe modificate male e con dolo da uno spacciatore incattivito. Non è infatti l’originalità della spunto di vendetta il punto...
Austero e ricercato ma contemporaneamente anche postmoderno e autoironico, Mandy non fa una buona sintesi delle sue due parti
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