Se qualcosa come un film Sundance egiziano d’autore può esistere questo è Yomeddine.

Aperto da una scena che sembra lo stereotipo del cinema d’autore preso in giro da chi il cinema d’autore non lo guarda (nel silenzio di un’immensa discarica un lebbroso storpio ravana nell’immondizia con in sottofondo il ragliare solitario del mulo suo unico amico), Yomeddine replica tutti quegli espedienti con i quali quel cinema americano indie si è guadagnato i favori del pubblico arrufianandoselo nei modi più biechi.

Un uomo e un bambino, che non sono parenti ma sono uniti dall’essere emarginati e scacciati da tutti, viaggiano nell’Egitto peggiore in cerca delle proprie origini e delle proprie famiglie originarie non accorgendosi che stanno formando loro due un nuovo nucleo familiare non convenzionale ma vitale. Sono poveri ma di gran cuore (ballano e hanno solo sentimenti purissimi!), sono marginali e disprezzati con un buon grado di sofferenza (“Sono un essere umano anche io!” griderà il lebbroso...