A David Ayer non importa niente del contesto storico, della tragedia della seconda guerra mondiale, del rapporto con la Germania nazista e delle condizioni che hanno portato all’intervento americano in guerra. Fury si svolge negli ultimi giorni di guerra in una specie di limbo incredibile in cui tutto sta per finire, il clima è parzialmente rilassato e l’esigenza di dover continuare a pattugliare, girare la Francia e in certi casi combattere o scampare bombe ha un senso di futilità unico, diverso da quello cui il cinema di guerra ci ha abituato. Ma più di tutto quel che sembra interessare ad Ayer è la maniera in cui i corpi dei soldati sono martoriati, segnati, bruciati, mutilati, sporcati, segnati e tagliati dall’esperienza. In molti hanno voluto fare film di guerra dalla parte dei soldati, nessuno ne ha raccontato in questa maniera il lento morire, il lento essere smembrati, penetrati, escoriati, bruciati e fatti effettivamente a pezzi. Anche l’immortale Brad ...