Dire che Gold sia figlio di The Wolf of Wall Street non sarebbe corretto, sarebbe un eufemismo.

Da Scorsese questo film prende quasi tutto. Stephen Gaghan ne imita il passo, la ricerca di un ritmo attraverso l’unione di movimenti di macchina e stacchi, l’alternanza di velocità e stasi, quel modo insomma di comporre a due mani (stacco e movimento) per raccontare storie in cui i protagonisti sono immersi in un oceano di piacere deprecabile, tanto desiderabile quanto spaventoso. Così facendo Gold mette in scena uno spettacolo godibilissimo. Peccato che non sia farina del suo sacco.

Come già quella di Jordan Belfort interpretata da Di Caprio anche questa è una storia vera che ruota intorno all’ossessione per il successo economico, per il raggiro e per la celebrazione di quello che negli anni ‘80 era il trionfalismo economico, come quello fosse lo specchio di una depravazione che prendeva derive più evidenti tra droga, alcol e donne. Senza raggiungere le punte di abiezione di Belfort