High Life, la recensione

In una navicella deserta che vaga nello spazio più profondo, fuori da ogni possibile orbita, si leva il pianto di una neonata. Quell’urlo, espressione dell’umanità più primordiale, è anche l’unico segno vitale che pervade quell’infinitesima porzione di universo, dove solo Monte (Robert Pattinson) e sua figlia respirano, esistono.

Lontanissimo da tutti i recenti film di simile ambientazione (Gravity, Interstellar, The Martian, Ad Astra) High Life di Claire Denis pone i suoi personaggi in una trappola fisica – la navicella irraggiungibile da qualsiasi segnale umano, un topos del film stellare – ma non vuole indagare sul perché un simile destino sia toccato proprio a loro, o se quel destino, deciso da altri, sia giusto o sbagliato. High Life concentra tutta la sua filosofia su un interrogativo, attorno al quale ne ruotano mille altri: cosa vuol dire essere davvero soli? L’isolamento fisico porta all’isolamento emotivo? Cosa ci lega davvero?

Attraverso una trama s...