C’è una forte aria anni ‘90 in Il Colpo Del Cane. Non nei costumi o nell’ambientazione ma nell’incastro narrativo. Storia divisa in due parti e mescolata, ce ne viene mostrata prima la seconda parte (dal punto di vista dei due personaggi femminili) e poi la prima parte (dal punto di vista di quello maschile), che chiude con un finale ad effetto da “strane storie”. È una trama ad incastro che seguendo i personaggi inverte le priorità creando così la tensione narrativa verso la scoperta di cosa sia successo e il conseguente effetto sorpresa che la trama, esposta linearmente, non avrebbe riservato.

Questo genere di decostruzioni era tipica del post-Pulp Fiction e del resto il mondo in cui si muove il film ha quel tipo di squallore truffaldino, poverello e marginale che unisce il primo mondo tarantiniano con l’esigenza della periferia del cinema italiano.

Ci si muovono dentro Daphne Scoccia, Silvia D’Amico (sempre di più l’attrice promettente di questo momento del cinema italiano) ed