Sacha Baron Cohen è un autore che si ama o si odia. Fin dai tempi dell’AliG Show, passando per Borat e Bruno, il poliedrico attore e regista londinese ha abituato il suo pubblico a due cose: la totale assenza di pudore (scatologico, politico, umano e sentimentale) e un gusto raffinato per la citazione colta nascosta sotto cumuli di volgarità gratuita.

 
 
Il Dittatore, da questo punto di vista, non fa eccezioni alla regola. Tuttavia, rispetto ai lungometraggi precedenti, Cohen e i suoi collaboratori hanno deciso di osare qualcosa di più. La trama, che vede lo stralunato “Generale – Ammiraglio” Aladeen di Wladya, cercare di mandare a monte un piano ordito da pericolosi ribelli che vogliono portare cose orribili come la democrazia e i diritti umani nel paese che da ormai vent’anni opprime con affetto sincero, è decisamente più complessa di quella che trovavamo nei due mockumentary, mentre l’elemento volgar...