In Kotoko c'è un momento raro anche per il cinema di Tsukamoto, un momento in cui sembra che il regista si ponga un limite per poi superarlo, cioè sembra affermare che esiste un indicibile (o nel caso specifico infilmabile) e ne è palesemente terrorizzato lui per primo.

E' un momento in un film che spesso si dilunga (ci sono 3 canzoni di Cocco che sospetto essere sempre la stessa ripetuta), spesso ripete se stesso e altre volte prende binari talmente imprevisti da stonare. Non è insomma Tsukamoto al massimo della sua compattezza, quando a un'intenzione precisa come un rasoio fa corrispondere un'esecuzione rigorosa nella sua furia epilettica.

L'oggetto dell'indagine questa volta è una donna, madre di un neonato che, come sempre nel cinema del regista giapponese, è ossessionata senza un motivo particolare dal cemento, dal metallo e da visioni. Stavolta però, più che la carne, il centro di tutto è la m...