E’ francamente difficile capire la carriera contemporanea di Steven Spielberg. Di sicuro, ogni film che realizza sembra portare con sé un grande senso di pesantezza, sia nei casi migliori (Salvate il soldato Ryan) che in quelli peggiori (A.I., Minority Report). L’impressione è che, dopo aver vinto numerosi Oscar con Schindler’s List, il regista più famoso del mondo si sia sentito in dovere di realizzare opere impegnate e profonde, pensando erroneamente che le favole che ci aveva raccontato tra gli anni settanta e gli ottanta non lo fossero. Se l’intento potrebbe essere lodevole (ma neanche troppo), i risultati non sono quasi mai all’altezza delle aspirazioni.
E se c’è una caratteristica comune dei suoi fallimenti artistici negli ultimi anni, di sicuro va cercata nelle sceneggiature, incapaci di portare storie solide e personaggi coinvolgenti. In questo caso, purtroppo, siamo su livelli veramente bassi.

Entriamo nello specif...