Se nell’ultimo film la ricerca di una nuova prospettiva era compiuta da un uomo che ritornava paradossalmente indietro dalla morte, rivalutando in seguito tutta la sua esistenza, qui lo sguardo indagatore è molteplice (e totalmente melodrammatico). È quello prima di Vanda (Alba Rohrwacher), poi di Aldo (Luigi Lo Cascio), e poi dei loro figli, coinvolti per forza di cose nella crisi genitoriale che porterà tutti quanti a sviluppare ansie e rancori indelebili l’uno verso l’altro. Dotato di una trama semplicissima, Lacci punta tutto sul gioco di incastri tra passato e presente, avendo sempre il controllo delle informazioni passate allo spettatore, che ben dosate e ragionate assumono un certo significato e poi un altro ancora nel gioco dei punti di vista. Una scatola, una radio, un gatto con uno strano nome e ovviamente i lacci delle scarpe fungono qui da oggetti-emozionali, elementi sineddotici che richiedono di essere interpretati, analizzati e ri-analizzati per potere essere compresi non solo dai personaggi ma anche dallo spettatore, che solo nelle diverse versioni riesce veramente a comprendere e contestualizzare.
Luchetti sceglie di stare sempre vicino ai personaggi, di muoversi quasi solo in interni, abbandonando completamente i fondali cittadini che accolgono la vicenda: di Napoli e di Roma non si vede proprio niente, e a niente effettivamente servono. Sono le stanze, prima piene di vita, poi vuote ma riempite da voci esterne (a ribadirne la vuotezza metaforica) o devastate da oggetti che vengono continuamente rotti o lanciati in preda alla rabbia, a essere le vere protagoniste. La casa diventa allora il luogo più emozionale di tutti, l’enorme contenitore di tutti quei ricordi: prima nido accogliente, poi fortezza, questa cambia assieme ai personaggi, e col tempo accumula significati, diventa la rappresentazione di tutte le ferite. Solo affrontandola definitivamente, allora, si potrà forse andare avanti.
È quindi con l’intelligenza del montaggio e il controllo sulla messinscena di Luchetti che Lacci, puntando dritto all’emotività dello spettatore, riesce a fare centro sulle ferite aperte. Perchè chiunque abbia assistito alla tristezza dei propri genitori, alla loro rabbia e ai loro gesti di sfogo, non potrà non immedesimarsi.
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