Fin dall’attacco dello score, così potente e inusuale sulle immagini di repertorio delle grandi dittature del novecento, un senso di spaesamento attacca lo spettatore. Sarà la sensazione prevalente (assieme alla repressione) di tutto L’Infanzia Di Un Capo. Questo film che ambisce alla rarefatta meschinità di Haneke, a quella capacità di lavorare sull’andare sempre a braccetto di violenza fisica e psicologica (come se la seconda fosse l’araldo che annuncia la prima), mette in scena in tre atti, lungo tre capricci, la maturazione di un bambino di un bambino che, ce lo dice il titolo, diventerà un capo, qualcuno che amministra la violenza al livello più alto.

Come se partisse dagli studi di William Reich (quelli che individuavano nella famiglia la fabbrica dell’ideologia di stato) e volesse aggiustare Il Nastro Bianco (cioè il racconto di come il terzo Reich sia nato dal clima repressivo del secondo Reich) rendendolo più universale Brady Corbet gira un esordio complicatissimo e di ammirev...