Fin dalla prima scena di Mission Impossible III, si capisce che i realizzatori hanno sbagliato tutto. Quella che, normalmente, dovrebbe essere una scena sorprendente, ma dal ridotto tasso emotivo, vorrebbe invece avere un forte contenuto umano. Nulla di male, ma se poi parte la celeberrima (e tutt’altro che drammatica) sigla della serie, allora l’idea non è delle migliori.
Come spesso succede nelle pellicole di spionaggio contemporanee, gli autori vorrebbero prendere due piccioni con una fava, fondendo insieme spettacolarità e sentimenti umani. Ma il mix, in questo caso, non funziona, anche perché la stupidità la fa spesso da padrona.
Non ho svolto un addestramento all’interno della Cia, ma ho idea che un gruppo di agenti segreti, mentre interrogano un pericoloso criminale, non dovrebbero essere a volto scoperto, né chiamarsi con i loro veri nomi.

Non mancano peraltro una serie di luoghi comuni e di banalità indegni anche di un...