Steven Soderbergh non ha mezze misure. Da una parte gira film minuscoli, solitamente non eccezionali ma che lui ritiene sperimentali, con i quali prova tecnologie, tecniche o stili differenti come Mosaic, Unsane, The Girlfriend Experience o Bubble. Dall’altra gira film più o meno grandi in cui ammassa nomi molto noti in uno slancio esagitato di namedropping finalizzato a piacere a tutti i costi al pubblico. Da Ocean’s Eleven in poi sembra che la sua idea di film “per gli studios” (che in questo caso sono Netflix) sia un’infornata di volti e nomi conosciuti in una grande storia in forma di commedia.

Questo è Panama Papers, un insieme di piccole storie di truffe e truffette (altro grande tema di ricorrente nel cinema commerciale di Soderbergh) affiancate l’una all’altra, alle volte intrecciate, ma sempre unite insieme da uno studio legale. Per spiegare cosa è stato quello scandalo vengono presi piccoli esempi dell’attività dello studio Mossack & Fonseca, come cioè questo aiutasse per...