Rebecca, la recensione

Ce ne voleva per succhiare via da Rebecca, la prima moglie, ogni alito di vita e di tensione , oltre che ogni sottotesto.

Ce ne voleva per riraccontare da capo la storia a partire dal romanzo originale (come del resto aveva fatto Hitchcock), lasciandosi sfuggire tra le dita tutte le parti più interessanti, tutti gli spigoli più eccitanti e tutto il portato simbolico più affascinante.

Ce ne voleva insomma per passare dalla storia di una donna che si scontra con lo spettro di un’altra, con un confronto sempre incombente e una competizione impossibile, ad una di criptici amori in Costa Azzurra.

Ce ne voleva per trasformare il senso d’inadeguatezza e la simulazione di un conflitto di classe tra la nuova moglie e la precedente più altolocata e il mistero delle relazioni così vicine e così distanti tra Laurence Olivier e Joan Fontaine, in un inferno di incoerenza tra Lily James e Armie Hammer, prima focosi amanti e poi distanti e inavvicinabili non è chiaro perché.

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