I rifiuti tossici, l’origine rocambolesca, la difficoltà ad accettare e capire i superpoteri e poi il trauma e la decisione di dove schierarsi mentre dall’altra parte nasce anche una nemesi. Niente di più classico, alla base di Lo chiamavano Jeeg Robot c’è lo svolgimento fumettistico per eccellenza, senza contaminazioni o intrusioni. A rendere tutto credibile in uno scenario italiano (Roma) è una scrittura di equilibrio impeccabile, che traduce i personaggi tipici nei loro equivalenti da malavita romana, che gioca tantissimo sul contrasto tra l’immaginario dei fumetti e la bassezza del dialetto e dell’atteggiamento romanesco nei confronti di tutto ciò che è strano e diverso (cioè una totale impermeabilità) e addirittura inventa una storia d’amore plausibile nella sua assurdità. Forse gli si può appuntare una lunghezza nell’ultima parte ma di fronte al traguardo raggiunto appare come una piccolezza.

Gabriele Mainetti (regista), Menotti ...