Non è un Training Day, non è un viaggio tra Les Miserables e non è nemmeno Bright: Shorta è un poliziesco americano classico che però viene dalla Danimarca, e già questa è un’affermazione di potenza. Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm esordiscono nel lungo dopo una valanga di cortometraggi (del resto se sta nella Settimana della Critica solo un esordio può essere) e hanno la mano e la scrittura di chi ha sulle spalle almeno 15 polizieschi.

La trama ha l’essenziale e stringente potenziale esplosivo del cinema migliore: due poliziotti duri sono di pattuglia in un quartiere più duro di loro, pieno di immigrati di seconda generazione e considerato una polveriera. Loro non sono teneri, si divertono ad esercitare il potere, solo che ad un certo punto la radio li avverte che il caso di un poliziotto che ha quasi ucciso un immigrato, quello che sta occupando i giornali e le bocche di tutti, si è chiuso: l’uomo è morto in ospedale. Il quartiere esplode, loro sono dentro, la polizia li abbando...