Dopo l’esordio nel sistema hollywoodiano con Furia (1936), dramma a tinte nerissime sul linciaggio di un uomo innocente da parte di una folla assetata di giustizia riparatrice, pare quasi impossibile che l’austriaco Fritz Lang riuscì a girare un film altrettanto duro e spietato come Sono innocente (1937), affresco impietoso della società americana e del suo sistema giudiziario: l’una ancorata a un certo moralismo, mostrato qui in tutte le sue contraddizioni, l’altra rappresentata come una istituzione lontana dall’individuo. È il paradosso degli Stati Uniti, patria dei diritti personali, dell’individualismo: il paradosso del singolo che soccombe a favore della massa.
Considerato uno dei primi noir statunitensi, Sono innocente è la parabola discendente di Eddie Taylor – un Henry Fonda portato al limite della nevrosi – ex galeotto che dopo aver scontato la pena è libero di tornare in società. Deciso a ricostruirsi una vita insieme alla fidanzata Joan (Sylvia ...
In Sono innocente non ci può essere redenzione di alcun tipo: un criminale rimarrà sempre un criminale per chi lo guarda
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