Se fossimo stati negli anni ‘70 Sylvie’s Love sarebbe stato promosso senza scrupoli come Black La La Land, cioè la versione afroamericana di quella stessa storia, aggiustata per adattarsi alla cultura che il jazz l’ha creato e che le difficoltà di emergere nella società le ha vissute sulla propria pelle.

In pochissimi riescono a raccontare i melodrammi nell’epoca contemporanea perché i contrasti e le gabbie sociali sono molto minori rispetto a prima. Anche per questo gli anni ‘50 rimangono il setting prediletto per mettere in scena storie in cui di nuovo i personaggi femminili possono passare quel martirio solitario che caratterizza il genere. Sylvie’s Love quindi non solo ricrea lo stile patinato dei melò degli anni ‘50 ma soprattutto trova in quell’ambientazione la possibilità di far combattere la protagonista contro il destino e più di tutto contro la società. O meglio la troverebbe perché di lotta nel film ce n’è pochissima.