Come si può onestamente guardare un film come Blaze, anche solo con magnanimità, in un mondo del cinema post-A proposito di Davis? Il film dei Coen si muoveva intorno alle medesime idee di questo, anche se era ambientato all’alba degli anni ‘60, mentre questo è ambientato negli anni ‘80, aveva a che vedere con un genere di musica bianca americana molto tradizionale, legata all’onestà e alla sincerità, e cercava di usare la musica live e le canzoni in parallelo con il mondo delle immagini.

Blaze nel raccontare il suo cantante (Blaze Foley per l’appunto) fa lo stesso. Non c’è il nichilismo dei Coen ma una parabola più convenzionale di ricerca di equilibrio, autodistruzione e onestà musicale, come se quel genere e quella vita fossero un tatuaggio indelebile, una scelta dalla quale non si torna indietro. E dire anche che la bontà del lavoro musicale è garantita da Charlie Sexton (attore ma anche curatore di tutti brani) e quella storica dalla base (il libro scritto da Sybil Rosen