È un’estate che non ci appartiene, fatta di paesaggi e personaggi che non sono i soliti, passata tra il caldo dell’asfalto come in Giappone e un paesino di provincia in cui odiare tutti perché omologati, borghesi senza vita e perbenisti. Eppure, nonostante non ci appartenga, lo stesso questa estate ci appare familiare, come se vista sullo schermo la riconoscessimo nei nostri ricordi. È il miracolo di La Disparition des Lucioles: creare familiarità con un paesaggio con il quale non ne abbiamo.
Eppure fin dal suo attacco, una conversazione insostenibile in un ristorante, in cui la protagonista guarda con odio madre e patrigno mentre sproloquiano, si assenta un attimo e al volo prende un autobus per fuggire, fin da lì e da come questa fuga è accompagnata da uno score di archi classico che sembra uscito da un melò di Douglas Sirk della Hollywood anni ‘50, c’è qualcosa di diverso in questo film in cui nulla è semplice.
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