C’è fin da subito una qualità calamitante nelle immagini di Gunda, un che di misteriosamente intrigante che tiene avvinti ad un pianosequenza immobile sulla testa di una scrofa. È il sound design, è il bianco e nero molto dettagliato e molto saturo, è il mistero di cosa avvenga nell’unica zona di buio dell’inquadratura. La sorpresa sarà tutta narrativa, escono dei piccoli maiali. I rumori erano quelli del parto e adesso i nuovi nati escono fuori cascando come trucioli di legno. Gunda non riuscirà a ripetere quest’inquadratura miracolosa, fatta di un montaggio interno spontaneo, parecchie volte lungo la sua durata ma davvero mette sullo schermo una quantità impressionante di soluzioni visive che trasformano l’ordinario in straordinario e lo arricchiscono di senso spingendo lo spettatore a partecipare alla sua costruzione.

Prima che essere un saggio pro-veganesimo, p...