In questi giorni di Festival, si sono susseguiti sui grandi schermi delle sale del Lido titoli più o meno attesi, tra cui si son fatti notare alcuni – quasi sempre nostrani – tentativi di avvicinare lo strumento cinema all’universo poetico. Ci ha provato miseramente De Maria con La vita oscena, usando un linguaggio libero ma confuso e sortendo un risultato perfettamente in linea col titolo. Ci ha provato Martone con Il giovane favoloso, sperando invano che bastasse una mera declamazione dei più bei versi della storia poetica italiana, quelli di Leopardi, ad affrancare il suo affresco biografico dalla minaccia del didascalismo. C’è chi, come Costanzo, ha poi preteso di raccontare l’orrore banale e quotidiano della vita familiare, motivando una narrazione fiacca e priva di guizzi di scrittura con una regia ridicolmente ispirata ai classici del thriller. Buoni propositi, pessimi esiti.

E poi, c’è Lars von Trier. L’uomo che si è preso l’arrogante...