Cinque segmenti, cinque artigiani al lavoro, apparentemente non collegati fra loro ma intellettualmente associati dal film a fuoco, mare, terra, aria ed etere. Uno scienziato che lavora instancabilmente sulla ricerca di una forma di medusa che pare immortale (acqua). Artigiani musicali che costruiscono strumenti in latta (aria). Gli scultori che restaurano e sistemano il Duomo di Milano (terra). Alcuni membri di una tribù nativa americana da sempre vessata dagli Stati Uniti (fuoco). Un’attrice narra L’Immortale di Borges in un cinema abbandonato (etere). D’Anolfi e Parenti non raccontano ciò che riprendono, mostrano i gesti che lo compongono, ne fanno vedere la parte più manuale, fanno una cronaca del lavoro.

Girare un documentario antinarrativo è impresa difficilissima, parente della contemplazione, vicina all’osservazione naturale, necessariamente alimentata da un comparto visivo e da un montaggio in grado di lavorare nella testa dello spettatore. Lo sa bene Gianfranco Rosi,...