Se Deborah Haywood usa colori pastello, casette da fiaba dalle pareti rosa, zuccherosi peluche di arredamento e inserti sognanti che sembrano ripresi con la calza è per fare male, non per compiacere. Se mette insieme una figlia adottata e una madre amorevole entrambe simpaticamente strane, non è per ruffianeria da indie americano (il film è britannico) ma per colpire ancora più duro.
Questa favoletta che favola non lo è per davvero ma ama riprendersi e considerarsi tale per acuire il marcio che racconta, è un’educazione sessuale senza ritegno in un mondo senza affetti. E per questo Deborah Haywood riesce a trovare una vena unica come il genere non ha conosciuto: perché non ha nessuna voglia di piacere.
Ci sono una madre e una figlia (adottata) che si muovono in una nuova città piene di buone intenzioni, speranze e dolcezza, ma verranno massacrate da tutti i vicini, i compagni di scuola e dallo scontro con uno stile di vita a loro opposto, che non intende tollerarle.
Così pasticcioso e ...
La violenza della provincia, del sesso e dei conflitti si abbatte su una madre e una figlia dolci. Pin Cushion però non ha nemmeno un briciolo di ruffianeria
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