Anche se può sembrare il contrario all’inizio di questo film, Shinya Tsukamoto, 29 anni dopo Tetsuo, non accenna a normalizzarsi. Ed è una notizia di cui il pianeta intero dovrebbe gioire.
In quella spada che vibra e trema assieme all’inquadratura nell’inizio di Killing c’è tutto il dissidio tra quel metallo tagliente e duro e la materia molle costituita dal protagonista, samurai che non ha mai ucciso e ha timore di farlo, che trema nel tenere quello strumento di morte, che è visibilmente terrorizzato e somatizza quel terrore in un’impotenza sessuale che lo massacra. Servirà a poco impostare le basi del racconto con grande calma e controllo (che bravo!), con una quiete quasi irreale, perché lo stordimento che il metallo letale porta nella vita, nella testa e nelle viscere è dietro l’angolo.
In quella spada che vibra e trema assieme all’inquadratura nell’inizio di Killing c’è tutto il dissidio tra quel metallo tagliente e duro e la materia molle costituita dal protagonista, samurai che non ha mai ucciso e ha timore di farlo, che trema nel tenere quello strumento di morte, che è visibilmente terrorizzato e somatizza quel terrore in un’impotenza sessuale che lo massacra. Servirà a poco impostare le basi del racconto con grande calma e controllo (che bravo!), con una quiete quasi irreale, perché lo stordimento che il metallo letale porta nella vita, nella testa e nelle viscere è dietro l’angolo.
Sempre funzionale al suo obiettivo, cioè rappresentare la tragedia carnale che è vivere un dissidio interiore, avere paura, non essere all’altezza dei propri desideri, stavolta Tsukamoto
Storia di samurai che ribalta gli assunti base del genere, Killing è un film 100% Tsukamoto in cui il metallo è il terrore della carne e il protagonista è massacrato da ossessioni di violenza e impotenza
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