Ci voleva forse un’animatrice autodidatta che non è stata formata da nessuno che non è stata inserita fin da subito dentro l’industria ma che viene da fuori, che non ha maestri se non quelli che si è scelta da sé e che non ha sudditanze verso il resto del cinema indiano per fare un film come Bombay Rose. Uno che inizia con un cinema in cui è proiettato un film di Bollywood e ci è subito evidente cosa non vada. Bombay Rose vuole attivamente lavorare sull’immaginario bollywoodiano includendolo nella sua narrazione, inglobandolo nei suoi disegni così che i suoi personaggi lo guardino e scelgano se aderire o no, se dimostrarsi diversi o vittime di quell’impostazione.

Quella di Gitanjali Rao è un’altra realtà, diversa. Una che ci tiene a mostrare di disprezzare gli stereotipi di genere che il cinema indiano mainstream propone, conferma e reitera, in cui personaggi che sognano di essere quello che vedono sullo schermo imitano le star nella vita vera contro le protagoniste.

Anche solo ...