Come sempre nel cinema (migliore) di Peter Weir si attraversa una vastità, ci si perde e può succedere di tutto proprio perchè si è immersi negli elementi naturali. Stavolta sono deserti, bufere di neve, laghi, montagne e boschi, attraversati da 5 uomini (e per un certo periodo 1 donna) per mesi e mesi. La storia è quella vera di una clamorosa fuga da un gulag comunista, la drammaturgia tutta fittizia invece, si vede, è farina del sacco di Weir e Keith Clarke.
Contrariamente a quel che farebbe supporre il titolo, The Way Back non indugia sul concetto di "ritorno", cioè non punta alla nostalgia e il desiderio che spinge l'uomo oltre il dolore verso una meta, ma proprio sul viaggio, cioè sull'immersione negli elementi ostili e la sopravvivenza a diversi scenari.
Se però spesso in passato le peregrinazioni di Weir erano praticamente monosessuali, riservate cioè a persone diverse, ma tutte del medesimo...
Un'altra odissea negli elementi naturali, ma questa volta la quiete maschile è turbata da una presenza femminile che nella sua fugacità trova il suo senso...
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