Che questo non sia un film di sottomarini come gli altri Abel Lanzac (pseudonimo di Antonin Baudry) cerca di farlo capire subito, fin dalla prima scena. A differenza di quello cui siamo abituati quanto a sequenze d’azione e di guerra dentro i sottomarini Wolf Call fa bella mostra di voler negare tutto il dinamismo interno, la furia negli spazi stretti e le corse nei corridoi, anzi vuole puntare su altro, sull’immobilismo. Ha Reda Kateb dalla sua, attore incredibile, volto noir perfetto e clamorosa macchina da poche espressioni. Lui, seduto, immobile, acuto, è il comandante ed è come la montagna di Kagemusha: ferma e per questo di incredibile carisma. C’è Kurosawa e la sapiente alternanza di stasi e azione, e c’è un’enfasi quasi da Hollywood degli anni ’50 sul volto.

Sarà la cifra di tutto un film che fa grandissima fatica quando le scene si svolgono fuori dal sottomarino e invece trionfa al suo interno. Baudry ha frequentato veri sottomarini per raggiungere il m...