*Attenzione: contiene spoiler per coloro che non hanno ancora visto il finale della quinta stagione di Game of Thrones, trasmesso qui in Italia ieri sera da Sky Atlantic*

Che “Mother’s Mercy” (qui la nostra recensione), episodio che ha concluso la quinta stagione di Game of Thrones, farà discutere per diverso tempo è indubbio.

In esso abbiamo assistito alla morte di Myrcella (Nell Tiger Free), a quella di Stannis (Stephen Dillane) e soprattutto a quella di Jon Snow (Kit Harington). Come se non bastasse diversi cliffhanger ci hanno lasciato nell’incertezza, mostrandoci Daenerys (Emilia Clarke) attorniata da un esercito di Dothraki, Arya (Maisie Williams) diventata cieca come punizione per aver disobbedito al Dio dei Mille Volti, Theon (Alfie Allen) e Sansa (Sophie Turner) in fuga da Grande Inverno, e Cersei (Lena Headey) tornata alla Fortezza Rossa dopo aver percorso il traumatizzante Cammino della Vergogna, esperienza che potrebbe aver innescato in lei reazioni difficili da prevedere.

THR ha parlato dell’episodio con colui che lo ha diretto, David Nutter, il quale ha rivelato diverse cose sia sulle riprese che su quanto accaduto sul set.

Qual è stata la storyline che ti ha impensierito di più in questo finale?
Il cammino della vergogna. Ero sulle spine e volevo farla bene perché Lena Headey e io siamo amici e penso che abbia un grande talento. Volevo che venisse fuori meravigliosa. Probabilmente ‘meravigliosa’ non è la parola più giusta, ma volevo venisse bene.

Com’è stato l’ultimo giorno di Kit sul set?
Lui è un professionista consumato. Non è stato come per le Nozze Rosse, dove tutti si affezionano alle persone perché lavori con loro da tanto tempo. Ci si affeziona molto gli uni agli altri. Si diventa una famiglia. Sul set c’era molta tristezza. I ragazzi della troupe conoscevano Kit molto bene, e le persone che facevano da comparse — i membri dei Guardiani della Notte, hanno preso questa cosa molto seriamente. Hanno dei club e dei ritrovi. Questi ragazzi devono apparire così 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 12 mesi all’anno. Vivono la parte a fondo. Ho preso tutte le comparse da parte prima di girare la sequenza e abbiamo letto il giuramento dei Guardiani della Notte insieme, perché volevo si sentissero parte di tutto ciò. Senza il loro coinvolgimento non avrei lavorato così bene. Ho voluto che la scena si svolgesse alquanto velocemente, che non rimanesse sospesa.

Il libro è un po’ ambiguo. Quanto accaduto è sembrato definitivo. E’ certo dire che Jon è morto?
Jon Snow è morto.

Dopo aver diretto quella di Shireen, hai diretto anche la scena della morte di Stannis. C’era molta tristezza in essa, perché lui aveva perso tutto, anche se aveva fatto cose orribili.
Stephen Dillane era un attore così straordinario che per me il lavoro complesso di alcune sequenze proveniva dal lavoro di macchina e dalla complessità del girare. Sento che a volte alcune sequenze funzionano meglio semplicemente perché evito di entrarci. Come regista, Non voglio mai essere notato. Non voglio mai che la telecamera si distolga da una sequenza in modo drammatico. Voglio che gli attori e la storia siano sempre in primo piano. Voglio rimanere nascosto dietro la macchina e non lasciare che l’emotività della storia venga attenuata o gravata da un movimento di macchina che possa distogliere il tuo sguardo o portare la tua mente e il tuo cuore lontano da ciò che stai guardando. E’ stata una sequenza che ha dimostrato quanto per me possa essere semplice girare, e ha raggiunto l’intento di portare davanti a ciò che stava accadendo a Stannis.

Fonte: THR