I personaggi, le parole, i luoghi di Mr. Robot mentono continuamente, ma lo stile dice la verità. Vorremmo poter dire che è così perché pone un filtro oggettivo tra noi e Elliot, ma naturalmente sappiamo che nemmeno questo corrisponde a verità. Il motivo è un altro. Il terzo episodio della seconda stagione di Mr. Robot ce lo farà capire a più riprese, da uno stacco iniziale che sfuma da un racconto del passato ad un’allucinazione del presente senza farsi troppi problemi. Su tutto rimane l’ossessione, il concetto di religiosità che viene declinato in più modi durante la puntata, un Elliot molto più disturbante nelle sue fasi “normali” piuttosto che nelle altre. E poco altro, perché gli eventi sostanzialmente faticano a decollare dietro la cortina di fumo nella quale Sam Esmail li ha nascosti e continua a nasconderli. Qualcosa si muove, ma è presto per capire cosa ci vorrà raccontare questa stagione.

Facciamo un passo indietro e torniamo all’inizio del discorso. In quella che può essere considerata la scena chiave dell’episodio, il sottofondo musicale è Opening di Philip Glass. Si tratta di una musica che è stata anche utilizzata, non per la prima volta, nella soundtrack di The Truman Show. Forse è una coincidenza, ma considerato che la serie lo scorso anno non si è fatta problemi a utilizzare Where is my mind per indirizzarci con il paragone con Fight Club, forse possiamo concederle il beneficio del dubbio. Quindi, Elliot che fa parte di una cospirazione che lui stesso ha creato, alla quale si sforza in tutti i modi di non cedere, ma alla quale torna sempre, forse perché gli permette di rientrare in quella nicchia di sicurezza e conforto in cui è qualcuno e non solo uno fra i tanti.

E tutto questo discorso viene infilato – in modo un po’ macchinoso – in una prospettiva religiosa. Elliot alla fine cede e ammette che Mr. Robot è il suo dio, e che, come ogni divinità o ogni istituzione religiosa, ha un modo tutto suo di catturare, annullare, ritualizzare l’individuo. Le incursioni nichiliste di Elliot arrivano sempre al confine della banalità, e francamente sono molto più scontate e ovvie di quanto l’enfasi della serie vorrebbe farci credere. Eppure lo stile è sempre lì, e c’è anche Rami Malek, che stiamo imparando a dare un po’ per scontato, ma che catalizza le nostre attenzioni ogni volta che è in scena.

Stiamo girando parecchio intorno all’episodio – che pure dura un’ora – e a ciò che è accaduto, ma in realtà è esattamente questo che ha fatto la puntata. Il contenuto esiste in una dimensione sempre mediata da uno stile che le è superiore. Ed è bene così, perché in realtà se si parlasse solo delle indagini condotte da un’agente di nome Dominique e scaturite dalla morte di Romero, non sarebbe comunque un incentivo forte per continuare. E nemmeno lo sarebbero il conflitto emotivo provato da Angela o le preoccupazioni di Darlene. Con Elliot, che torna a rivolgersi a noi nel momento in cui sappiamo che il tentativo di allontanare Mr. Robot non funzionerà, la serie trova sempre un motivo per esistere.