Non molto tempo fa, in un galassia che potrebbe anche essere la nostra… Genndy Tartakovsky dirige Star Wars: Clone Wars (da non confondere con la quasi omonima serie d’animazione del 2008), e crea qualcosa degno di essere ricordato negli annali dell’ordine dei Jedi. Quindi la creatura di George Lucas e il genio dell’autore di perle dell’animazione come Samurai Jack, Le Superchicche e Il laboratorio di Dexter che si incontrano su Cartoon Network nel 2003 per creare qualcosa di curato, ben scritto e ben diretto. Non solo un ricordo d’infanzia, quando veniva trasmesso a blocchi di circa tre minuti – tanto duravano le puntate – sulla rete, ma una creativa e ispirata parentesi televisiva, un tassello importante (anche se non canonico) della saga stellare.

Like fire across the galaxy the Clone Wars spread

Le parole del maestro Yoda chiudevano l’Attacco dei Cloni, ed è da parole molto simili pronunciate dallo stesso personaggio che riparte la serie animata. 25 episodi divisi in tre stagioni coprono l’arco che va dalla fine dell’Episodio II, in cui i separatisti guidati dal conte Dooku uscivano completamente allo scoperto sfidando la federazione, e l’inizio dell’Episodio III, in cui la guerra raggiunge il suo apice con un attacco diretto sferrato contro Coruscant e culminato nel rapimento del cancelliere Palpatine. In tutto questo saltiamo da un angolo all’altro della galassia devastata dalle guerre. Mentre Anakin Skywalker si fa sempre più valere sul campo di battaglia, l’ordine e la Repubblica si affidano ai guerrieri storici come Yoda, Windu, Obi-Wan per ripristinare l’ordine.

Uno dei caratteri più particolari della serie era la sua struttura. Gli episodi hanno una durata variabile, che aumenta sempre più andando avanti nella storia, ma che comunque non supera mai i 12 minuti. Questo significa che l’intreccio, le introduzioni, i dialoghi stessi sono ridotti all’osso, e molto di ciò che vediamo accadere si basa o su suggestioni nostre, oppure su quel bagaglio di conoscenze che già possediamo. L’unica premessa e introduzione è quella della citazione riportata poco sopra: nient’altro ad accompagnarci in questa galassia tra esplosioni e colpi di spada laser. Tra dialoghi fulminanti e citazioni secche, allora Tartakovsky si affida moltissimo ai silenzi, alle grandi immagini e alle scene d’azione. In poche parole: Samurai Jack.

Il personaggio creato nel 2001 era un guerriero invicibile, ma era anche un esploratore di mondi e civiltà che spesso si trovava a dover lottare più contro se stesso che contro i nemici. E, con le dovute differenze, non è poi così diverso dall’Anakin raccontato in questa microsaga. L’autore riprende quei ritratti stilizzati ed essenziali, che lavorano moltissimo sulle geometrie e non tengono troppo conto dei volti degli attori della saga prequel. E inserisce quei volti in cornici fantastiche, spesso senza spiegare molto di quello che vediamo, ma lasciando al tempo stesso grande spazio alla meraviglia.

25 episodi, e in ognuno di questi è possibile trovare qualcosa di creativo, un tocco personale e geniale che non si limita a omaggiare o a farsi schiacciare, ma che riesce anche a dire la sua. Vediamo l’interno di una spada laser, ricostruito tramite un rituale jedi, vediamo pianeti inediti, macchine nemiche (un gigante corazzato nel deserto che viene distrutto da Windu) e tanti momenti degni di nota. C’è almeno un personaggio inedito e indimenticabile come Asajj Ventress che è protagonista su una delle lune di Yavin di un combattimento furioso con Anakin, e c’è l’introduzione – con toni quasi horror – del personaggio di Grievous, oltre alla spiegazione del perché all’inizio di Episodio III stia soffrendo fisicamente.

Vediamo inoltre il delicato passaggio da Padawan a Jedi di Anakin, e il momento in cui viene applicata la copertura dorata a C3PO. Strano a dirsi, tutto ciò è stato escluso dal canone ma, in fondo, non importa molto.