La terza stagione di Gomorra somiglia molto poco alle prime due. Nonostante il look, i luoghi, i personaggi, la fotografia e il dialetto siano quelli, la maniera in cui si muovono le persone e la prospettiva che la serie adotta sui fatti narrati sono completamente diverse. Gomorra 3 ha dimostrato che è possibile raccontare di crimine e di intrighi tra famiglie della Camorra ma in modi completamente diversi, anche dentro il medesimo universo e usando gli stessi personaggi. Che non è la storia ma sono il tono, i dettagli e ciò su cui si sceglie di concentrare lo sguardo a fare la differenza tra la serialità vecchio stampo e quella di nuova generazione.

In corrispondenza della dipartita dalla serie di Stefano Sollima, che aveva curato la prima e supervisionato la seconda, Gomorra si è preoccupantemente avvicinato alla serialità da tv generalista, a quel tono da Canale 5 e Rai Uno. Siamo ancora lontani dall’essere diventata una fiction, di certo non ne ha la sciatteria e la cattiva recitazione, non ne ha il buonismo e l’ecumenica correttezza, ma i cambiamenti e l’avvicinamento sono stati evidenti. Per praticità abbiamo riassunto tutto in 5 punti.

  1. Prendere per mano lo spettatore

Se c’è una caratteristica che differenzia le fiction dalle serie tv adulte e sofisticate è che le prime cercano in ogni modo di spiegare tutto agli spettatori, mentre le seconde vanno avanti per fatti loro, chi vuole le segue altrimenti niente, anzi si divertono ad ingarbugliare le acque e sfidare il pubblico a capirle.

La terza stagione di Gomorra è stata un continuo di personaggi che annunciano i propri piani, si parlano dichiarando cosa faranno ed entrano in scena riassumendo a parole cosa è successo fino a quel punto. Sia chiaro che l’exposition, cioè la spiegazione a parole, c’è sempre stata ma c’era un gran lavoro per mascherarla, per non farla suonare come un imbocco allo spettatore, per farla passare in maniera invisibile. Qui invece ci sono momenti in cui Genny, consegnando la borsa dei soldi per il riscatto del figlio, a chiare lettere dice ovvietà come: “Mi raccomando, questi sono tutti i soldi che ho fatto da quando sono tornato”. O ancora capita che sempre Genny entrando in una stanza si sente in dovere di chiarire ciò che abbiamo appena visto: “Mia moglie e mia figlia sono ancora in mano ai confederati”. Noi lo sappiamo bene perché è il fulcro della trama, i personaggi nemmeno a dirlo non dovrebbero pensare ad altro. Per chi è questo riassunto?

  1. La bontà dei camorristi

Quel che aveva reso Gomorra – La serie, una delle migliori serie italiane era il suo essere decisa e senza sconti, il regno del male e della cattiveria, c’era un atteggiamento spietato e meschino autentico, una mancanza di qualsiasi luce nei personaggi che ne costituiva la parte più affascinante. Anche quando era ipotizzabile che qualcuno potesse fare qualcosa di vagamente decente, si scopriva che lo stava facendo per interesse. Questa stagione si apre con Ciro che in Bulgaria salva una ragazza dalla prostituzione senza un proprio tornaconto, e poi passa attraverso mille pianti dei personaggi e gli abbraccioni nel finale. Ci viene effettivamente raccontato che quegli stessi caratteri che abbiamo conosciuto come malvagissimi, pronti a passare sopra la propria famiglia, non sono davvero così. Addirittura al funerale della sorella di Enzo “Sangue Blu”, la regia insiste sulle lacrime e ci sono delle note tenerissime in colonna sonora a raddoppiare la pietà verso di lui.

Il mondo narrativo della serie, caratterizzato da un cielo nero che fa il paio con il nero dello sporco sui muri, del fango e dei garage mezzi distrutti, era una culla per gente terribile. Qui questa stessa gente che gestisce crimini e pianifica omicidi ha tutto un lato pacioso e tenero. Addirittura Ciro, che aveva fatto fuori la propria famiglia adesso ha un tardivo senso di colpa che non avevamo visto all’epoca e si sacrifica per gli amici e per espiare delle colpe che si riconosce! Di fatto è una revisione (verso il peggio, perché incoerente) di tutto ciò che sapevamo e apprezzavamo di lui.

  1. La pigrizia delle soluzioni visive

Una serie, come un film, si guadagna la propria serietà cercando di non far percepire allo spettatore l’artificiosità. Quando entriamo in un ambiente è evidente che non stava accadendo qualcosa prima della scena, perché gli attori sono lì solo per quello, ma le produzioni migliori sono quelle che non lasciano percepire il fatto che i personaggi siano lì ad aspettare la propria scena. Quest’anno Gomorra ha mostrato un tale disinteresse e una tale pigrizia per il posizionamento dei personaggi e per le loro azioni quando noi non li guardiamo da valergli la prima serata RAI.

Abbiamo visto Azzurra, la moglie di Genny, sfogliare le foto del matrimonio (!) piangendo mentre il padre la spia da dietro lo stipite della porta (così per farci capire che gli manca Genny), anche se lei dovrebbe fingere di non desiderare il ritorno del marito. Questo però è niente a confronto dei mille sguardi nel vuoto. È stata infatti la stagione delle persone che guardano fuori dalle finestre, quella in cui entri in una stanza e ci trovi Ciro che guarda fuori non si sa cosa, pensoso… Si parla un po’ e poi di nuovo a guardare fuori dalla finestra. Lo stesso Genny se non sta parlando è fermo a guardare il vuoto o l’orizzonte.

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  1. Il bromance goffo

Uno degli intenti palesi della terza stagione era di raccontare il legame tra uomini, mettere in scena l’amicizia virile e il senso di fratellanza tra alcuni criminali più o meno della stessa generazione. Per manifestarlo si è scelto di far parlare tutti vicinissimi, a poca distanza, di farli guardare con intensità e, ad un certo punto, anche di fare in modo che si dichiarassero il proprio attaccamento.

Il risultato è che se in un caso (Enzo “Sangue blu” e Valerio) sembra di intuire la possibilità di un amore omosessuale nascosto, in tutti gli altri sappiamo bene che non è così. Nonostante le apparenze quindi quel che vediamo non è sentimentalismo gay reale ma solo bromance goffo. In molti hanno avuto l’impressione, specie nelle ultime puntate, che a furia di parlare con tale passione e tale vicinanza un bacio fosse lì lì per avvenire.

  1. Di che cosa parla questa serie

Ma alla fine uno è il dettaglio fondamentale. La ragione per cui realmente questa terza stagione appare molto diversa dalle altre è che la scrittura e la messa in scena, insieme, hanno cambiato l’oggetto della serie. Mentre gli intrighi criminali sono rimasti i medesimi è cambiato il fatto che ad essere raccontata non è più la durezza dell’animo ma la sua tenerezza.

In precedenza avevamo visto Gennaro passare da ragazzino a uomo tramite un trauma da cui non è più potuto tornare indietro. Abbiamo visto Ciro tradire senza battere un ciglio e un padre tramare per uccidere il figlio. Qui invece è accaduto l’esatto contrario.

Cosa ancora peggiore questa che era una serie di fatti, in cui desideri e aspirazioni emergevano dalle azioni, è diventata una serie di parole, in cui il cuore di tutto sta in come i personaggi si raccontano a vicenda i propri sentimenti. Invece di parlare di carichi di droga, pistole, piani e via dicendo, in questa stagione i personaggi hanno discusso più che altro cosa provassero, qualcosa non solo di implausibile in quel mondo ma anche di tipico della fiction televisiva, in cui il racconto a parole dei sentimenti è il fulcro di tutto lo svolgimento. La differenza è fondamentale, perché si passa dalla storia di ascese o discese del potere come in un fantasy (la metafora del re è in crescendo dalla prima puntata ad oggi) alla storia dei diversi sentimenti provati da ognuno mentre tutto ciò accade.

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