È in una lunga intervista su Variety che Luca Guadagnino parla per la prima volta nel dettaglio di We Are Who We Are, la serie originale che debutterà su HBO a settembre e su Sky a ottobre e della quale abbiamo da poco visto le primissime immagini.

Il regista spiega che questo progetto, per lui, è come un “nuovo film”:

Mi sembra come se, da un lato, questo sia un mio nuovo film. Mi sembra un film, anche se ho apprezzato l’elemento episodico della storia. Questa è una serie, e dipenderà da quanto verrà apprezzata dal pubblico il fatto che poi si possa rivedere questi personaggi. Ho una certa inclinazione verso il riportare in vita personaggi che amo. E adoro i personaggi di questa serie. La cosa bella di una serie tv è che se le cose vanno bene ci si può tornare su e fare nuove stagioni, il che sarebbe splendido per me.

Guadagnino racconta com’è nata l’idea della serie:

I produttori Lorenzo Mieli, Paolo Giordano e Francesca Manieri avevano sviluppato l’idea di una serie sulla vita e sulla fluidità di genere nei teenager dei sobborghi americani di oggi. Me ne hanno parlato, e la prima cosa che ho detto è stata che mi interessava poco l’argomento di partenza. Mi interessava più il comportamento di queste persone. E per non fare qualcosa di generico, ho proposto che si spostasse l’ambientazione in una specie di “micro-America”, un luogo che potesse rappresentare una parte del tutto. Ho proposto il mondo dei militari. Tanto tempo fa avevo avuto una splendida conversazione con Amy Adams – uno dei privilegi del mio lavoro è poter parlare con questi grandi attori – e lei mi aveva raccontato di aver passato parte della sua giovinezza a Vicenza, in una base militare in Italia. Collegando i pensieri, ho creato quest’immagine nella mia mente. Ho spiegato a Lorenzo che, siccome è una serie, se le cose vanno bene “la prossima volta potrebbero spostarsi in un’altra base. In Giappone, Africa, ovunque”.

I protagonisti Fraser e Caitlin hanno entrambi 14 anni. Il regista spiega perché si è voluto concentrare su quest’età:

Ricordo quando avevo 14 anni, ero profondamente insoddisfatto dalla mia incapacità nel capire come mettere in atto i grandiosi piani che avevo fatto per me. Sapevo cosa volevo, non sapevo come raggiungerlo. Alla fine, capii che non avevo proprio idea di cosa volevo veramente! Adoro quell’età, perché si hanno grandi ambizioni e, allo stesso tempo, non si hanno i mezzi per raggiungere quegli obiettivi. C’è solo la curiosità, il desiderio, la capacità di sperimentare. Ogni giorno sembra una lotta tra la vita e la morte. È una cosa splendida di quell’età.

Perché Guadagnino ha deciso di ambientare la storia durante le elezioni presidenziali del 2016:

Gli effetti di quell’elezione si sentono ancora adesso, in questo momento. Le scosse telluriche che hanno colpito l’america e il mondo nel passare dalla presidenza Obama a quella Trump, in maniera completamente inaspettata, vengono percepite ancora oggi. Va detto che proprio come Silvio Berlusconi è stata l’autobiografia dell’Italia, Trump è un capitolo triste dell’autobiografia americana. Stiamo parlando di un populismo che nasce dai plutocrati. Sta plasmando il mondo mentre, allo stesso tempo, una falange di giovani sta sconvolgendo il mondo non volendo prendere quella medicina amara.

Infine, si parla di nudità maschile completa, una cosa rara sia nel cinema che nella televisione americana:

Mi fa sentire sempre molto in imbarazzo quando nei film la cinepresa strategicamente si sposta in modo da non mostrare qualcosa. Penso anche che mostrare la nudità maschile o femminile, in un contesto in cui ha senso, sia un modo per liberare l’occhio. La HBO è stata fantastica nel sostenere le mie scelte. Possono sembrare scelte provocatorie o radicali, ma le vedo come organiche e naturali. Comunque, la nudità c’è sempre stata nei miei film. È una parte della vita. Siamo nudi parte della giornata, e parte della giornata siamo vestiti. Ho sempre pensato che fosse importante restituire quella condizione dell’essere umani. A volte siamo nudi, quindi perché non mostrarlo?

Descritta come una storia di formazione, la serie vede come protagonisti due adolescenti americani che, insieme alle loro famiglie composte da militari e civili, vivono in una base militare americana in Italia. We Are Who We Are parla di amicizia, di primi amori e di tutti i misteri dell’essere un adolescente. Una storia che ogni giorno si ripete in ogni parte del mondo, ma che in questo caso avviene in un piccolo scorcio di Stati Uniti in Italia.

Jack Dylan Grazer è Fraser, un quattordicenne timido e introverso, che da New York si trasferisce in una base militare in Veneto con la madre Sarah (Chloë Sevigny) e la compagna Maggie (Alice Braga), entrambe in servizio nell’esercito statunitense. Tom Mercier è Jonathan, un assistente di Sarah. Jordan Kristine Seamón interpreta invece Caitlin, un’adolescente apparentemente spavalda e sicura di sé che vive da anni con la sua famiglia nella base e parla italiano. Rispetto al fratello maggiore Danny (Spence Moore II), Caitlin ha un rapporto più stretto con il padre Richard (Kid Cudi) che non con la madre Jenny (Faith Alabi), con la quale la comunicazione è più difficile.

Caitlin è la figura cardine del suo gruppo di amici, di cui fanno parte Britney (Francesca Scorsese), una ragazza schietta, arguta e sessualmente disinibita, Craig (Corey Knight), un allegro e bonario soldato di circa vent’anni, Sam (Ben Taylor), il geloso ragazzo di Caitlin che è anche il fratello minore di Craig, Enrico (Sebastiano Pigazzi), uno spensierato diciottenne del Veneto che ha un debole per Britney, e infine Valentina (Beatrice Barichella), una ragazza italiana.

We Are Who We Are è una serie Sky Original coprodotta da Sky e HBO; Luca Guadagnino è lo showrunner, produttore esecutivo, sceneggiatore e regista; la serie è prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment e Mario Gianani per Wildside, entrambe del gruppo Fremantle, con Small Forward, insieme a Guadagnino, Elena Recchia, Nick Hall, Sean Conway e Francesco Melzi d’Eril; è scritta da Paolo Giordano e Francesca Manieri insieme a Guadagnino.