C’è un po’ di Italia nella prima stagione di American Gods. La società EDI Effetti Digitali Italiani, con sede a Milano, si è infatti occupata della realizzazione di una sequenza di forte impatto contenuta nel season finale. Al termine di una visita presso la sede della società abbiamo avuto modo di discutere della costruzione della scena, ma non solo, in un lungo incontro con il socio e VFX supervisor Stefano Leoni. Sul progetto per EDI hanno lavorato anche Rosario Barbera (VFX producer) e Gaia Bussolati (VFX supervisor) e tutti gli artisti di EDI. Citato anche il VFX supervisor Francesco Pepe.

Qual è stato il percorso che ha portato una società italiana come la vostra a lavorare su serie americane?

EDI Effetti Digitali Italiani nasce nel 2001 da due soci fondatori, Francesco Grisi e Pasquale Croce, che negli anni precedenti avevano lavorato presso una società francese, BUF, dove avevano fatto grosse esperienze su prodotti come Fight Club o Batman. Tornati in Italia hanno fondato EDI, e a quel punto sono entrate altre persone. Ci siamo affacciati prima sul mercato pubblicitario italiano e sui videoclip, più semplici, e poi abbiamo affrontato il discorso cinema a livello italiano. Nel frattempo, essendo diventato globale tutto il mercato abbiamo iniziato a spingerci sul mercato estero, sia a livello di pubblicità che di cinema e serie tv. Negli ultimi sei anni è stata intrapresa una politica che ci facesse notare dai grossi produttori americani come Disney, Marvel, Fox, Warner, Universal. Loro sono sempre alla ricerca di soluzioni con ottimi rapporti qualità/prezzo sul mercato cinematografico globale. Ormai sul suolo americano si produce poco in termini di effetti visivi, postproduzione e parte di girato. Le società sono localizzate dove c’è un vantaggio in termini di tax credit, caso più eclatante è la WETA di Peter Jackson. In Italia adesso c’è questo discorso legato al tax credit ed è diventato importante misurarsi con le realtà medio-piccole all’estero con un buon rapporto qualità-prezzo. Essendo molto affidabili ed elastici mentalmente – loro sono abituati ad una progettazione più rigida rispetto a noi – siamo riusciti a fare breccia e a prendere i primi pacchetti di film e serie tv importanti, e questo è un processo che dura da 16 anni.

Quale è stato il primo progetto americano di rilievo sul quale avete lavorato?

Il primo forse è stato il film di Gabriele Muccino, con il quale avevamo già lavorato, Father and Daughters, di cui ci è stata affidata la postproduzione. La Voltage Pictures ha avuto fiducia in noi e ci ha dato la possibilità di fare tutta la postproduzione del film. Non erano tantissime scene ma erano complesse. Quindi diciamo che quello è stato il primo film completo che abbiamo fatto a livello internazionale e poi abbiamo iniziato a puntare i grossi contenitori di adesso come Netflix, Amazon, e tutti coloro che fanno serie come HBO o Starz che adesso producono tantissimo e che hanno bisogno di produrre tanto. In Italia poi abbiamo lavorato con Sky e con strutture che fanno contenuti di questo tipo.

Prima di arrivare ad American Gods avete lavorato anche su Lemony Snicket.

Sì, abbiamo lavorato su un pacchetto di scene. La postproduzione all’estero funziona così: su una serie e un tot di numero di puntate ne vengono date alcune su cui lavorare. Le lavorazioni vengono divise sempre secondo livelli di difficoltà dalle più semplici alle più complesse. Noi siamo partiti da lavorazioni più semplici, e nel caso di Lemony Snicket abbiamo lavorato più sui fondi, sui cosiddetti clean e su tutto quello che riguarda la parte di compositing, quindi non di CG. Mentre su American Gods abbiamo fatto un lavoro più concettuale e molto più complesso.

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Come siete arrivati a lavorare su American Gods?

Eravamo in contatto con il supervisore degli effetti. Avevamo già avuto a che fare con lui, che a sua volta aveva lavorato con il nostro socio Francesco Grisi, ed eravamo rimasti in ottimi rapporti. Dopo un po’ che spingevamo per provare a fare cose più complesse con lui ci ha voluto. È stato molto generoso e ci ha dato fiducia, perché tra l’altro ci ha dato una parte importante nell’ultima puntata di American Gods, una parte molto concettuale. Questo mi ha stupito. Credevo arrivasse un pacchetto chiuso dal punto di vista dell’idea e del concetto e in realtà ci hanno chiesto di svilupparlo praticamente da zero. È stato un lavoro molto impegnativo. Il nostro lavoro si relaziona molto spesso sul mercato internazionale con i supervisori degli effetti visivi che sono all’interno della casa di produzione e studiano il film e lo dispacciano in giro per il mondo dentro alle varie strutture.

Quindi la figura del supervisore è centrale nel processo?

Nelle serie tv solitamente c’è uno showrunner che segue la parte di direzione artistica della serie. Ha un supervisore agli effetti visivi alle sue dipendenze che decide come ottenere il massimo del risultato al miglior prezzo. Il loro obiettivo è avere la massima qualità rimanendo nel budget che si sono prefissati. Questo supervisore e il producer organizzano e dispacciano tutto il lavoro da fare a livello globale, per poi riacquisirlo, riassemblare il tutto e confezionare la serie.

E tutto questo lavoro di effettistica come si armonizza con una base che deve tener conto di una regia, di una sceneggiatura, di una scenografia o di parte di una scenografia?

Di solito si inizia con lo spoglio di una sceneggiatura. Si cerca di individuare insieme al produttore la parte inerente agli effetti visivi perché normalmente riguarda o qualcosa che è difficile realizzare dal vivo – quindi una scenografia imponente, magari fatta solo parzialmente e poi estesa in postproduzione – o qualcosa legato a creature, a FX, a esplosioni o trasformazioni e compositing. Quindi lo spoglio della sceneggiatura: noi per esperienza andiamo a scegliere e selezionare i punti cruciali. Ad esempio, se hai una scena in cui c’è una scogliera e un castello non in location, oppure una creatura, sai già che ci sarà bisogno di una postproduzione. Il supervisore intanto coordina le varie componenti, la regia, la fotografia, la scenografia, in modo che tutti siano allineati su cosa va realizzato. Quindi inizia la fase di concept. Lavoriamo su dei “fotogrammi fissi”, oppure su storyboard che ci arrivano direttamente già fatti oppure che facciamo noi. Sulla base dell’idea del regista o dello showrunner sviluppiamo un fotogramma che assomigli a quella che sarà l’atmosfera che si ritroverà poi nel film o nella serie. Il nostro ruolo poi è quello di andare a supervisionare l’inquadratura, perché oltre alla parte artistica e legata alla recitazione c’è tutta una parte tecnica da seguire per gli effetti visivi. Ad esempio dobbiamo capire con quale focale è stata girata l’inquadratura. A volte ricostruiamo in CG tutta la parte di inquadratura e quindi dobbiamo capire con che ottica è stata girata, con che tipo di esposizione, il formato. La supervisione serve anche a questo, oltre a dare una mano al regista e al direttore della fotografia per capire come inquadrare una cosa che poi sul set non c’è. Facciamo delle previsualizzazioni. Una volta fatto il montaggio e scelte le scene si passa alla fase successiva che è quella di costruzione degli effetti visivi e dell’assemblaggio di tutto ciò che viene creato a livello di asset. Ad esempio, se ho una creatura da mettere in scena, la preparo, la metto in bassa risoluzione, la animo, la faccio vedere al regista. Quando funziona si passa alla versione in alta risoluzione e si finalizza. Tutti gli step sono controllati dal supervisore, vengono fatte delle review a cadenza regolare che alla fine portano al risultato finale.

In questa pagina potete vedere il making off della scena per American Gods.

Più nello specifico come avete proceduto nella realizzazione della scena di Bilquis? È stato difficile ricreare i liquidi?

Una delle parti più complesse che abbiamo incontrato in American Gods è stata la trasposizione dell’idea di Bilquis, una dea che alla fine trasforma tutti i suoi veneratori in un liquido che viene risucchiato e del quale lei “si nutre”; e poi c’era la trasformazione del re, della corona e della sua metamorfosi. La parte complessa è stata ricreare una simulazione di liquidi quindi di FX, innanzitutto su una persona. Abbiamo ricostruito la testa della persona in modo che fosse corrispondente alla parte girata per applicargli poi l’effetto sopra in modo che fosse ben ancorato e preciso. Abbiamo studiato a livello di concept la resa di questo tipo di effetto e inizialmente è stato difficile azzeccare il tipo di resa che avevano in mente. Abbiamo preparato dei concept e dei fotogrammi in modo da avvicinarci sempre più. Dopodiché la parte complessa è stata la simulazione dei liquidi. Il liquido deve agire esattamente come nella realtà, quindi come se tu girassi versando del liquido su delle scale, quindi si fanno molte prove. Nel frattempo si prepara l’illuminazione e la materia di cui è fatto, in questo caso un materiale scuro con contaminazioni di stelle e di universo, almeno questa era la richiesta. Quindi bisogna ricostruire l’inquadratura in 3D, per avere gli stessi ingombri precisi degli scalini o delle colonne o degli esseri umani e poi viene simulata la parte di fluido per poi essere renderizzata. Richiede tempo perché va renderizzata fotogramma per fotogramma. Un fotogramma di questo livello può arrivare a richiedere un’ora e mezzo di rendering. Il totale porta a molte ore di rendering.

Quanto tempo ha richiesto il progetto nel complesso?

Il progetto è stato fatto velocemente perché siamo stati chiamati in modo abbastanza urgente e ci abbiamo lavorato circa un mese e mezzo. Ci hanno contattato a fine febbraio. Ormai la distanza tra la postproduzione di un film e l’uscita è pochissima. È stato un mese e mezzo intenso con il lavoro di 20-25 persone in media. Un lavoro full time, weekend compresi, ma era quello che ci aspettavamo.

Come viene suddiviso il lavoro all’interno del gruppo?

Noi siamo una sorta di laboratorio. Non siamo industrializzati e non lavoriamo a catena di montaggio. Abbiamo però delle figure che sono più specializzate in alcuni ambiti e che quindi si occupano di alcune parti. Ad esempio illuminazione, fluidodinamica, FX, e altri che si occupano di compositing, parte legata ad animazione o calcolo, rendering e ombreggiatura. Un lavoro in team, coordinato dal producer e controllato dal supervisore che segue la lavorazione e fa sì che tutto sia coerente. Il team lavora in parallelo costantemente.

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Ho notato questa differenza tra un tipo di effettistica più “visibile”, pensata per saltare agli occhi, e un tipo di effettistica “invisibile”, che fa un lavoro d’ambientazione.

Gli effetti visivi e la postproduzione aiutano al cinema in due tipi di ambiti. Il primo è creare degli effetti totalmente invisibili all’occhio, quindi con il massimo della resa, fotorealistici, perché servono a integrare un effetto realistico che magari non è stato possibile girare e inserire nell’inquadratura. Ad esempio nel film Gold su cui abbiamo lavorato quest’anno c’erano tutti gli sfondi realizzati in postproduzione mentre si è girato in un teatro. Poi, nel momento in cui si entra in generi come la fantascienza o il fantasy, allora l’effetto visivo inizia ad essere visibile. Ad esempio in American Gods l’effetto visivo è a disposizione della narrativa, in altri contesti deve essere nscosto. La differenza quindi non è tanto nell’idea di voler fare un effetto visibile o invisibile, ma è di tipo narrativo e riguarda la sua funzionalità.

Quali sono le differenze nel lavorare per il mercato americano e per il mercato italiano?

Per certi versi è simile, ma c’è anche una visione diversa del tipo di prodotto. Il prodotto italiano è un prodotto autoriale. Il prodotto americano, delle serie ad esempio, viene fatto per essere venduto, e quindi è da commercializzare. Nel film italiano sei a disposizione del regista e di come vuole raccontare un certo tipo di scena e l’effetto visivo spesso si limita ad aiutare le altre maestranze, ad esempio la scenografia o la fotografia. Negli Stati Uniti si utilizza di più l’effetto visivo per raccontare cose irrealizzabili a livello di concetto, quindi c’è un tipo di approccio differente, perché l’effetto è previsto e integrato fin dall’inizio. Su American Gods Gaia Bussolati (VFX Supervisor) ha fatto un lavoro di contatto e di continuo interfacciarsi con il supervisore affinché tutto funzionasse e andasse verso la giusta direzione. In Italia capita che gli effetti visivi vengano tagliati per motivi di budget. In questo periodo però ci sono registi che sviluppano effetti visivi nei film, li seguono, hanno una concezione diversa, ad esempio Gabriele Mainetti, ma anche Gabriele Muccino, che comunque ha lavorato negli Stati Uniti.

Considerando invece le serie tv il ruolo del regista è meno importante.

Ecco, il regista nelle serie ha sicuramente voce in capitolo, ma lo showrunner è molto più presente. È la sua visione quella che va accontentata, e una volta superato il supervisore e lo showrunner allora l’effetto è pronto, non ci sono altre componenti in gioco.

Qual è lo stato del settore in Italia in questo momento, e come vi ponete voi rispetto alla situazione attuale?

EDI si sta espandendo. È riduttivo parlare di effetti visivi, se parliamo di realtà virtuale, o realtà aumentata, o videogames, serie tv e cinema. Questi mondi ormai sono vicini e comunicano. Noi abbiamo un’area coworking che è nata perché vogliamo attirare persone che sono affascinate dal nostro mestiere e hanno voglia di confrontarsi con noi e vogliono ampliare le loro conoscenze dal punto di vista sia del mercato che realizzativo. Anche perché è il settore più in espansione, se si pensa che fino a dodici anni fa si girava principalmente in pellicola e oggi quasi tutto si sta spostando sul digitale. Il futuro prevede un’evoluzione legata allo shooting, al girato. Stanno sviluppando camere digitali che permetteranno di fare operazioni come la messa a fuoco o l’inquadratura in fase di post-produzione, non di produzione. Ciò si lega al coworking per noi perché abbiamo necessità di trovare nuovi talenti in un campo ancora inesplorato. Nell’ultimo anno abbiamo speso molto tempo nella ricerca e sviluppo della realtà virtuale, perché è molto legata all’ambiente della computer grafica. Basta vedere l’esperienza di Inarritu alla Fondazione Prada per capire come un regista abbia interesse a cimentarsi in una nuova esperienza di linguaggio che non è quella che ha sempre utilizzato. Abbiamo intenzione di porci sempre più sul mercato globale e non solo quello italiano perché ormai l’esportazione del nostro lavoro è online, non esiste più la barriera fisica del posto di lavoro, si riesce a lavorare con chiunque perché la comunicazione e il flusso di lavoro è digitale e con la fibra ottica si riesce a lavorare con chiunque. Secondo me la capacità vincente è cercare di innovare un mercato digitale sempre in evoluzione senza fermarsi ad analizzare un solo tipo di prodotto, bisogna rimettersi in gioco costantemente ed evolversi perché il mercato continua a farlo. Il contenuto digitale ad alto profilo tecnologico è quello che porta più lavoro.

Questo potrebbe inglobare anche il settore dei videogiochi in futuro?

Non nego l’interesse di comunicare con il mercato con i videogiochi. In fondo realizzare in CG un castello, per esempio, e metterlo all’interno della scena di un film o di un videogioco per noi non cambierebbe a livello di asset. Magari cambierebbe dal punto di vista metodologico di alcune produzioni, ma è più vicino rispetto ad alcuni anni fa. Oggi ci sono registi che vanno a scrivere storie per i videogiochi e che seguono le cinematiche dei videogiochi, e sceneggiatori che fanno la stessa cosa. Noi abbiamo i nostri artisti che lavorano in computer grafica e possono lavorare per i vari mercati. La cosa più eclatante è che la progettazione avvicinerà i mondi tra di loro fino a renderli quasi intercambiabili. Noi utilizziamo la realtà virtuale principalmente per far comunicare il modo di lavorare con gli asset di computer grafica che facciamo per il cinema all’interno di un motore grafico. Dopo un anno di ricerca e sviluppo riusciamo a farli comunicare. Quindi se io faccio un oggetto e lo sviluppo per un film lo posso importare dentro un motore grafico, e dentro questo motore grafico lo posso sfruttare eventualmente per un videogioco.

Quali sono i vostri prossimi progetti?

Abbiamo a che fare con 4-5 film italiani di grosso livello in fase di progettazione. Stiamo lavorando su due film internazionali. Il nostro obiettivo è avere un ciclo produttivo di due serie l’anno per avere la possibilità di programmare il lavoro di anno in anno. Queste permettono di seguire il trend del momento che è quello dello sviluppo su più stagioni.