Nel corso dell’edizione 2018 di Napoli Comicon abbiamo partecipato al roundtable con l’attrice neozelandese Lucy Lawless, celebre per aver interpretato dal 1995 al 2001 il personaggio di Xena, la Principessa guerriera. La Lawless è anche tra i protagonisti della serie TV Ash vs. Evil Dead la cui terza e conclusiva stagione è disponibile su Infinity.

Ecco i passaggi più interessanti dell’incontro.

L’anno scorso, uno dei più grandi successi cinematografici è stato il film “Wonder Woman”, diretto da Patty Jenkins, che ha saputo dimostrare come l’audience sia molto accogliente nei confronti di pellicole con forti ed emancipate protagoniste femminili. Guardando alla fine degli anni Novanta, però, non possiamo ignorare come “Xena”, seppur sul piccolo schermo, fu protagonista di un fenomeno simile. È possibile fare un parallelismo tra i due personaggi, considerando Xena una sorta di precursore di Wonder Woman, oppure sono due fenomeni diversi?

Credo che Xena sia stato uno dei primi protagonisti femminili di successo scritto come se inizialmente dovesse essere interpretato da un uomo. Un fenomeno del genere lo si era già avuto alcuni anni prima al cinema con Ripley, protagonista di “Alien” interpretato da Sigourney Weaver. Come diceva David Cronenberg al riguardo, in quel caso, trattandosi di una storia ambientata in un futuro distopico, bisognava operare un meccanismo di sottrazione di tutti gli “artifici femminili”, e rendere Ripley una vera dura, come fosse un uomo.

Il trucco è che quello di riuscire a rappresentare un personaggio che appaia come una donna, che parli come una donna, ma che agisca come un uomo. Questa particolare dissonanza ha permesso a Xena di essere accolta molto bene da un pubblico che allora era perlopiù composto da uomini.

Cosa provi a essere tuttora vista come una grande icona femminista, anche nella comunità omosessuale? Avverti il peso di tale responsabilità?

Credo che la gente mi veda come tale perché in un certo senso il personaggio che ho impersonato per anni è stato a sua volta interpretato come un prodotto della generazione femminista. Erano loro a volermi vedere come tale. Onestamente, non ho mai capito davvero quale sia stato lo specifico bisogno di rendermi tale, ma di certo tale posizione mi lusinga tuttora e mi ha sempre fatto sentire in un certo senso responsabile.

So bene come ancora oggi, sotto un punto di vista puramente statistico, le donne siano pagate meno degli uomini nell’industria cinematografica e televisiva. Ma tutti vogliono essere rappresentati sullo schermo, e ne hanno diritto, ed è questo il motivo per cui è importante che ci sia un’inclusione quanto più ampia possibile, in termini di etnia, sesso, orientamento sessuale, e tutto il resto: è importante che ogni minoranza abbia il suo spazio sul grande e piccolo schermo.

Alla luce di questo tuo pensiero, come hai vissuto l’ultimo anno costellato di scandali nell’industria cinematografica, con molteplici denunce di molestie sessuali e la nascita del Movimento Me Too?

Credo sia sempre meglio che queste storie vengano alla luce: una volta reso pubblico questo fenomeno, ne siamo tutti a conoscenza e possiamo rimboccarci le maniche per trovare delle soluzioni al riguardo. Se tanti uomini e donne coraggiosi non si fossero fatti avanti, questi episodi sarebbero continuati impunemente, nella nostra indifferenza.

Oggi è importante, specie per i nostri figli e per le nostre figlie, che tutti ci responsabilizziamo al riguardo, così che il loro presente possa essere più pulito del nostro.

Devo dire, però, che credo che questo fenomeno sia più ristretto al cinema, rispetto alla televisione. Nel secondo caso, infatti, abbiamo a che fare con un’industria più cooperativa: spesso si sta tutti assieme a girare uno show per mesi e mesi, se non anni. Si creano rapporti più saldi, amicizie più vere, cosa che riduce al minimo la possibilità che sul set si possano registrare episodi di abusi e molestie. Almeno io non mi sono mai trovata coinvolta direttamente o meno in un fenomeno del genere.

Ciò non vuol dire che non abbia mai incontrato persone potenzialmente moleste. Di sicuro sono stata anche fortunata al riguardo, ma sono stata anche capace di ignorare chiunque mi abbia detto qualcosa di inappropriato nel corso della mia carriera. L’indifferenza a volte è un’arma importante.

Sei stata tra i protagonisti della serie TV “Spartacus”, di sicuro uno show molto esplicito sotto più aspetti. Come ricordi quel periodo?

Ricordo come sia stato uno dei ruoli più difficili e impegnativi della mia carriera, specie sotto l’aspetto psicologico. Ovviamente, la parte più complessa e imbarazzante era recitare nelle scene di nudo, specie per il fatto che eri lì, come Madre Natura ti ha fatta, davanti a tutta la troupe, composta da persone che erano come fratelli e cugini per me. Dopotutto, lavoravamo assieme da vent’anni, perché molti di loro erano coinvolti anche nella lavorazione di “Xena”: siamo cresciuti assieme.

Perciò, ho davvero odiato dovermi sottoporre a delle scene di nudo, ma ero la moglie del produttore dello show [Robert G. Tapert, NdR], e se non lo avessi fatto io, anche tutte le altre attrici si sarebbero tirate indietro. Quindi mi sono fatta coraggio, e ho cercato di dare l’esempio, cercando di girare determinate scene nel minor tempo possibile.

Ma sì, è stato qualcosa di davvero difficile.

Nonostante ciò, devo dire come il ruolo di Lucretia sia stato il ruolo più complesso e interessante della mia carriera. L’ho amato. Sono di certo molto grata a Xena perché mi ha dato tantissimo, e da lì è iniziato tutto, ma da un punto di vista recitativo, interpretare Lucretia è stata una bellissima sfida, e per questo motivo è il mio personaggio preferito.

Cosa puoi dirci del tuo rapporto con il noto e apprezzato cineasta Sam Raimi?

Con Sam ho un rapporto speciale, soprattutto perché lui ama cucinare, in particolare fare barbecue. È un maestro nel bruciare la carne per tutti, quando ci invita a pranzo da lui. Inoltre, gli piace anche preparare del vino fatto in casa, e spesso ce lo manda fino in Nuova Zelanda. Il nostro amico in comune Mark Beesley, regista di diversi episodi di “Ash vs. Evil Dead”, lo ha provato davanti a tutti, e dopo averne bevuto un sorso ha esclamato: “Ah, Sam Raimi: sa ancora fare del buon horror!”

Questa è una storia terribile da raccontare, povero Sam! Scherzi a parte, è una persona adorabile ed è davvero impossibile non volergli bene.

Foto di Lucio Guzzo