Oltre a Ezio Abbate e Fabrizio Bettelli, che Suburra lo hanno scritto dalla prima stagione con i creatori Daniele Cesarano e Barbara Petronio (inizialmente con anche Nicola Guaglianone), nel corso delle tre stagioni si sono aggiunti anche Marco Sani, Camilla Buizza e Andrea Nobile. I tre hanno lavorato nella writer’s room, tenuto rapporti con Netflix e poi con Cattleya, la produzione. Insomma tutto quello che fa uno sceneggiatore televisivo. E l’hanno fatto per arrivare al finale della lotta per il dominio criminale a Roma.

Abbiamo potuto intervistarli e parlare con loro non solo di come si chiuda una serie, ma soprattutto delle differenze lavorative che esistano tra il mondo della serialità generalista (la fiction) in cui tutti loro 3 hanno lavorato, e in quello della serialità di nuova generazione per Sky o Netflix.

Quando avete saputo che la terza stagione sarebbe stata l’ultima?

MARCO SANI: Non è mai stato previsto un limite, Netflix rinnova le serie di stagione in stagione, non so se ci siano esempi di serie che sapevano da subito il numero totale di stagioni.

CAMILLA BUIZZA: In realtà Gina Gardini [produttrice per Cattleya ndr] parlava di 3 stagioni fin dalla prima ma non eravamo sicuri. Solo prima di iniziare la terza ci siamo detti che sarebbe stata l’ultima.

Ma il finale era stato deciso da subito?

MS: Noi tutti abbiamo un’idea narrativa diversa e un gusto diverso, il gruppo poi però partorisce un finale che vada nella direzione della produzione e di Netflix.

Come in Il trono di spade anche in Suburra sappiamo da subito come finirà il racconto: con qualcuno che si impone sugli altri, solo che non sappiamo chi. Netflix ha un potere decisionale su quale personaggio dovrà emergere alla fine?

MS: L’autore ha una voce importante, poi noi siamo arrivati dopo la prima stagione e questo ha un peso, Ezio [Abbate ndr] e Fabrizio [Bettelli ndr] invece erano lì dal primissimo pitch. Poi però nel partorire un’idea entrano tante variabili, anche il cast eh, nelle serie più importanti il cast ha un peso, gli attori dicono la propria.

ANDREA NOBILE: Hai citato una serie “arena driven” come Il trono di spade, in queste chiunque può morire perché l’arena è più importante dei personaggi. Per decidere chi emergerà si ragiona collettivamente e si valutano tantissime ipotesi per poi scegliere la più interessante ed efficace.

Sì ma alla fine il finale era quello che volevate voi?

AN: Guarda la sensazione è che se devi chiudere ora, allora è questo quel che deve succedere.

MS: Il mio rammarico è che si chiude troppo presto, i personaggi vanno molto avanti e c’è così tanto di sedimentato che diventa un peccato chiudere ora perché ad esempio Aureliano e Spadino avevano molto da dire, hanno una grande chimica.

CB: Io sono contenta perché trovo sia un finale potentissimo, poi sì saremmo potuti andare avanti all’infinito perché ci sono mondi che si intersecano e personaggi che crescono, specie quelli femminili che sono cresciuti molto in questa stagione.

I personaggi femminili effettivamente crescono molto nella terza stagione. È accaduto solo ora perché anche Suburra ha risentito dei “tempi che cambiano”?

CB: I personaggi femminili ci sono stati fin dall’inizio ma ora c’è una rivoluzione culturale in corso per quel che riguarda le donne e tutti quegli esponenti della società prima emarginati. Quindi siamo stati tutti d’accordo nel gruppo e con Cattleya nel voler approfondire i personaggi femminili. Ma la cosa importante è che non è una serie che nascono con protagoniste femminili e sono pensate per un pubblico femminile, quello mi dà fastidio perché sembra che le donne debbano vedere serie con donne. Una volta le serie non potevano che identificarsi con gli uomini perché erano gli unici personaggi complessi, i ruoli femminili erano più che altro vittime sacrificabili. In Suburra invece, nonostante siamo nel crime, anche le donne fanno cose terribili, solo che si riservano anche lo spazio per autodeterminarsi sul piano personale e affettivo, senza nessuna divaricazione tra carriera e famiglia. Nel crime spesso la donna rinuncia a tutto a sentimenti e maternità, invece Angelica o Nadia hanno una forte spinta ad autodeterminarsi come individui indipendentemente dai compagni e non rinunciano a figli e rapporti sentimentali, mi pare un modo di raccontare forte e nuovo.

Voi tre venite tutti da forti esperienze nella serialità generalista, dalle fiction. Nella percezione degli spettatori un prodotto per Netflix come Suburra è qualcosa di migliore, di più sofisticato e quindi di più difficile da scrivere. È davvero così?

CB: Un prodotto generalista per definizione si rivolge ad un pubblico molto vasto, deve essere per la famiglia e per la persona anziana, deve essere comprensibili da culture diverse (tra Nord e Sud Italia ci sono molte differenze di usi e costumi). Riuscire a fare un prodotto stratificato che vada bene per tanti è più difficile.

AN: Avendo lavorato per le generaliste, poi per Sky e Netflix non trovo che sia qualcosa più difficile, anzi quello per la tv generalista è un lavoro molto più sotto stressante, devi stare attento a mille situazioni e variabili. Invece Sky e Netflix ti dicono: “Fallo il più figo possibile”. Sulla generalista devi ragionare in termini diversi, non peggiori e non migliori, il loro scopo è un altro. Fare Suburra sulla Rai o su Mediaset non avrebbe senso perché quel pubblico non vuole quel prodotto, infatti Suburra poi va su Rai Due e non fa un risultato accettabile, sono modi di giocare diversi. Io adoro lavorare sulla generalista perché è come fare il cinema commerciale. Penso sia più difficile scrivere un film commerciale rispetto ad uno d’autore, perché hai necessità più stringenti. Il fatto che siano prodotti ritenuti peggiori, come dici tu, è un luogo comune spesso fondato ma non è colpa della sceneggiatura quanto di mille altri fattori. Tuttavia questo non vuol dire che siano più facili da scrivere. Anzi!

MS: Per la mia esperienza ora le cose sono cambiate, ho scritto due esordi per il cinema, uno spec script e uno no, e penso che scrivere oggi un film d’autore o un commerciale sia comunque difficilissimo. Ma un multistrand corale come Suburra, così legato con la città, è ancora più complicato. I paletti e le note della produzione ti mettono nella condizione di scrivere in un altro modo, ma è pur vero che stando in più persone alla sceneggiatura diventa più semplice risolvere.

AN: Poi dipende da cosa desideri. È facile dire che su Netflix ho più libertà nello scrivere, tuttavia anche nello sci c’è la discesa libera o lo slalom gigante che è pieno di regole e paletti. E alle volte fare uno slalom è bellissimo.

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