La serie TV di The Last of Us ha dimostrato, finora, di essere un riuscito mix fra una traduzione quasi letterale della storia raccontata dal primo videogioco della saga targata Naughty Dog e un adattamento di notevole stile. Con tutto il bagaglio di sfumature che il termine adattamento porta con sé: digressioni, differenze, percorsi paralleli che non avevamo ancora visto, nuove intuizioni narrative.

La terza puntata di The Last of Us, Long, long time, rappresenta al meglio tutto questo. Lo fa grazie a una scrittura e a una regia sopraffine e lo fa grazie a Nick Offerman e Murray Bartlett che ci regalano delle performance – come si suol dire – d’alta scuola. Insieme, questi elementi contribuiscono a plasmare uno dei momenti di televisione più significativi e riusciti degli ultimi anni (e non solo). Due cuori nell’apocalisse, quelli di Bill e Frank, che sembrano trovarsi ed edificare un piccolo angolo di paradiso in mezzo alla fine del mondo. Oppure una vana illusione che non fa altro che nascondere un piccolo inferno all’interno di un inferno anche più grande.

Ne abbiamo discusso insieme a loro nel corso di un’intervista.

The Last of Us Nick Offerman

Che discussioni ci sono state mentre lavoravate all’episodio – ammesso che ce ne siano state – circa la rottura intenzionale della tipica figura del survivalista indurito dalla vita che sembra un tropo narrativo tipico della mascolinità tossica, mentre qua viene consentito a Bill di essere tenero e umano?

Nick Offerman: La maggior parte delle discussioni sono avvenute nelle menti e nei cuori di Neil Druckmann e Craig Mazin perché era tutto presente nella sceneggiatura, grandiosa, che abbiamo ricevuto. Non ci sono state molte discussioni in aggiunta a “Questa cosa è notevole, cerchiamo di non fare casini!”. Personalmente amo l’atipico accoppiamento della storyline. Abbiamo già visto personaggi come questi altre volte, li abbiamo visti insieme, poi c’è un pasto a base di coniglio, li vediamo cantare e tutto d’un tratto pensi “Porca miseria, gli esseri umani sono davvero una continua sorpresa in quanto a possibilità”. Per me il bello del mio mestiere è proprio presentare al mondo delle storie in termini di possibilità, anche in riferimento all’alleggerimento di quel tropo narrativo di cui parlavi. Vengo spesso accusato di “mascolinità” che è una cosa che mi sorprende ogni volta perché, personalmente, mi vedo come un piccolo coniglio danzante e ridacchiante. Ogni volta mi rispondo che non è alcun bisogno di genderizzare le cose: se uso certi strumenti, o se cucino, se so cucire, se decoro dei cupcake… perché non dovrei saper fare o apprezzare cose come queste? Erodere certi stereotipi, idee e convenzioni old fashioned penso che sia parte del motivo per cui lavoriamo in questo specifico settore.

Murray Bartlett: Mi pare che Nick abbia già detto tutto e non posso che concordare con le sue parole. Leggere una sceneggiatura, leggere di questa relazione che esiste al di fuori degli stereotipi in questa maniera… Specie una relazione come questa che in passato tendeva a virare nella stereotipizzazione nei film e in TV. Vedere una relazione come quella di Bill e Frank è rinfrescante, proprio per la maniera in cui va ad infrangere gli stereotipi. Non è una cosa nuova l’infrangere gli stereotipi, sia chiaro, il cercare di smantellare certe idee, ma ciò nonostante questa storia ha un che di sorprendente per me in modo ultra positivo. Dice davvero molto della genialità alla base della sua scrittura, ma anche della genialità del casting e dell’ingaggiare un attore come Nick – o un attore che è Nick – che può portare anche quella mascolinità di cui parlava e non essere spaventato dal mostrare altri lati della personalità, dal far vedere che le persone sono fatte da un complesso insieme di aspetti. Inclusa la vulnerabilità. E lavorare con un attore disposto ad esplorare questa vulnerabilità è fantastico.

Nick nella vita di tutti i giorni sei anche un carpentiere. Com’è stato interpretare un personaggio che è molto differente da quelli con cui hai a che fare di solito con cui però condividi una certa attitudine pratica anche fuori dal set? E tu Murray come te la cavi in quanto a carpenteria and co?

Nick Offerman: Sai, è divertente. So lavorare il legno e amo realizzare delle cose, ma ho trascorso la maggior parte della mia vita adulta lavorando come intrattenitore in una maniera o nell’altra, o come scrittore, e quindi le persone che lavorano per me nel mio negozio e nella mia officina sono estremamente più brave di me nella lavorazione del legno perché fanno pratica tutto il tempo, mentre io, ad esempio, sono qua a parlare con una bella persona come te. È divertente constatare come le persone tendano a fondere come ti vedono in televisione quando magari maneggi un martello con l’effettiva padronanza. Ti faccio un esempio: quando sono arrivato sul set della puntata di The Last of Us… c’erano realmente un sacco di cose che sapevo fare, capacità che possiedo davvero. Ma poi ovviamente ce ne stavano una caterva di cui ero e sono completamente ignorante. Ma anche le persone della troupe o del team degli effetti speciali venivano da me a farmi domande su questioni come le saldature, i generatori diesel… Cioè, ci sono dei buchi nelle mie conoscenze! Amo il fatto che non potrei mai dire di avere finito d’imparare di capire come funzioni il mondo o le maniere con cui noi esseri umani adoperiamo le nostre dita prensili plasmando i materiali intorno a noi creando cose come internet, questo computer con cui stiamo facendo le interviste o le sedie sulle quali stiamo seduti e via così. C’è sempre molto da imparare ed è bello veicolare anche questo al pubblico nelle varie maniere con cui noi attori riusciamo ad avere degli effetti, con le storie che interpretiamo, su chi ci guarda. Ma soprattutto, parlando delle maniere con cui ispiriamo il pubblico, spero di essere utile nell’aver ispirato qualcuno a prendersi cura, in primis, di sé stesso al posto, magari, di fare affidamento a qualche sovrastruttura governativa.

Murray Bartlett: Sono d’accordo.

Nick Offerman: Fuck FEDRA!

Murray Bartlett: [Ridendo, ndr.] Una delle motivazioni del perché io sia diventato un attore è il poter fingere di essere tutte queste cose che non sono nella vita reale o che non so fare particolarmente bene. E non ho ancora interpretato un carpentiere anche se mi piacerebbe! Ma sì, non sono molto bravo con tutte le cose che hanno a che fare con la praticità.

Nick Offerman: Scusa, mi sono davvero distratto nell’immaginarti con tenuta da lavoro con borsa degli attrezzi. Ti chiedo scusa se ho interrotto la risposta alla tua domanda! Penso che saresti davvero credibile come carpentiere…

Murray Bartlett: Oh, grazie mille [ridendo, ndr.]. Dicevo, non sono una persona molto pratica, ma quando si tratta di recitare una parte mi piace davvero trasmettere l’idea che io sappia davvero molto di quello che sto facendo. Mi piace pensare che se l’attività di attore non avesse preso una porzione così grande della mia vita, se mi fossi impegnato in un attività come quella forse avrei fatto visita al tuo negozio Nick. Mi piace pensare che sarei stato bravo. Non è che io sia selvaggiamente scoordinato, semplicemente non ho sviluppato particolarmente quelle abilità. Ma se mi affidano un personaggio che ha qualche conoscenza o abilità specifica, impiego tutto il mio tempo libero a praticarla perché voglio sembrare un vero esperto.

Ci sono alcune differenze fra la serie TV e il videogioco di The Last of Us per quel che riguarda i vostri personaggi. Queste differenze vi hanno aiutato a costruire la vostra versione del personaggio senza finire per copiare e magari attenervi a quelle che potevano essere le aspettative di chi ha giocato al videogame?

Murray Bartlett: Dunque, per quel che mi riguarda ammetto subito in maniera anche imbarazzata che non sono un gamer. Ho amici che hanno giocato a The Last of Us, ma io non ci ho mai giocato. Per questo ho fatto affidamento agli esperti del gioco, Neil e Craig. Specie Neil considerato che l’ha creato lui il gioco. Craig lo conosce a menadito, chiaramente. Insomma: mi sono affidato in toto a loro e a questa straordinaria sceneggiatura che Craig ha scritto dove ci sono questi personaggi che differiscono alquanto da quelli del videogioco e hanno decisamente più senso nel contesto dello show e sono così meravigliosamente tratteggiati nella sceneggiatura. Avevo fiducia in loro per quanto concerne le eventuali differenze, sapevo che sarebbero state fatte rispettando il videogame. Che sarebbero state fatte con intelligenza, costruite ed espanse in maniera appropriata alla serie TV. Penso che l’abbiano fatto in modo splendido. Per questo mi sono limitato a immergermi in quella splendida sceneggiatura che ci hanno fornito.

Nick Offerman: Sono d’accordo. Siamo stati entrambi le marionette di Craig e Neil. È divertente: oggigiorno con l’avvento d’internet, tutti possono rendere la propria opinione disponibile in una certa misura agli altri. Prima di ciò, se io scrivevo un libro o facevo uno show e tu magari li detestavi, io non ero obbligato a saperlo! Do sempre per scontato che se vedo qualcosa di terribile o che proprio non mi piace semplicemente mi limito a non continuare a guardarla o leggerla. Ma parto anche dal presupposto che, generalmente, le persone fanno del loro meglio. Craig e Neil hanno preso il materiale alla base di The Last of Us e si sono detti “Trasformiamolo in intrattenimento televisivo per le persone”. Hanno fatto un ottimo lavoro per quel che mi è dato di valutare e abbiamo fatto tutti il nostro meglio per cercare di colpire i sentimenti del pubblico. E ovvio che ci sarà anche chi farà sapere a gran voce di non averlo apprezzato proprio perché alle persone non piacciono i cambiamenti… Sai, se qualcuno pronunciasse i nomi del Signore degli Anelli in modo diverso da quello che io ho deciso inizialmente… come pronunci Legolas o Lothlórien? Ecco, inizialmente ti prenderei a pugni [Murray Bartlett ride, ndr.] ma po direi “Aspetta un attimo: perché non potrebbero andar bene entrambe le cose?”. E dico questa cosa anche a chi, eventualmente, non apprezzerà l’adattamento di The Last of Us: perché non limitarci tutti ad andare d’accordo?

The Last of Us Murray Bartlett

Nella puntata, Bill ha creato questa piccola utopia personale nel bel mezzo di questa apocalisse. Il mondo fuori sta morendo, ma l’amore e la morte fanno parte della vostra piccola porzione di realtà. Mi chiedo: come descrivereste questo piccolo posto? Come un piccolo paradiso in mezzo alla follia o è solo un altro genere d’inferno all’interno di un inferno più grande?

Nick Offerman: Mi pare una bellissima domanda. Bill odia la gente. Prova molto dolore e in un sacco di modi diversi, magari anche in maniere superficiali, pensa “Grazie al cielo, tutte le persone sono scomparse, finalmente posso essere felice con il mio intricato sistema di tecniche survivaliste!”. Una volta infranto quel guscio, c’è un essere umano che, in realtà, è vulnerabile, che vuole essere amato e vorrebbe amare. Per rispondere alla tua domanda: in superficie il suo mondo sembrerebbe essere perfetto e felice, pare avere tutto, ma in realtà manca proprio l’amore. In molte maniere è un’utopia molto bella che sicuramente per certi versi può essere accostata a un inferno in terra perché s’impara la regola che non importa quanto possano essere buone o cattive le mie condizioni se non posso condividere nulla con nessuno, se non c’è nessuno che si prende cura di me e se io non posso prendermi cura di nessuno. È quasi un’osservazione dantesca da “Questo è il paradiso con una piccola spruzzata d’inferno”. A conti fatti l’episodio parla proprio di questo: nulla è davvero importante se non puoi condividerlo.

Murray Bartlett: Concordo e penso anche non si possa ragionare nei termini di bianco e nero, di utopia, d’inferno. L’episodio parla di possibilità nel bel mezzo di una situazione infernale, di quello che puoi trovare in una tempesta infernale come quella di The Last of Us. Potrebbe essere adeguato definirla un’utopia se dovessimo attenerci al significato più superficiale del termine, ma andrebbe contestualizzato tutto per darti una risposta che in ogni caso non sarebbe semplice. Perché è tutto ricco di sfumature, anche nel loro rapporto dove a volte finiscono anche per litigare come dei pazzi. È una sorta di “imperfetta utopia” credo.

Horror e azione non hanno sempre trattato i personaggi queer con particolare rispetto, senza dare loro lo stesso quantitativo di tempo sullo schermo che hanno altri personaggi. Come pensate che questo episodio di The Last of Us possa andare a impattare su entrambi questi generi da qui in avanti?

Murray Bartlett: Penso che quello che vediamo nella puntata sia sorprendente e, per quel che mi è dato conoscere di questi generi, anche inatteso. Non è una relazione queer stereotipata, anzi, la relazione in sé va proprio a demolire alcuni di questi stereotipi. Non indulge neanche lontanamente su certi luoghi comuni. Amo davvero tanto questa puntata e mi riesce difficile non parlarne in termini di grandiosità, ma penso che sia realmente unica per quanto concerne le relazioni queer viste al cinema e in TV. Per come evita gli stereotipi e per quello che fa all’interno di questo genere. Noi attori spesso abbiamo la speranza di riuscire a demolire gli stereotipi attraverso il nostro lavoro, di riuscire a far pensare le persone in maniera differente, di provare a ridefinire personaggi e relazioni in modo diverso per far vedere che siamo tutti collegati e che ci sono qualità universali che ci rendono tutti più simili che differenti. Craig ha scritto quest’episodio in un modo che riesce davvero a fare tutto questo e spero che possa davvero fare quello che tu suggerisci con la tua domanda. C’è sempre il desiderio di sfondare delle porte, di allargare gli orizzonti del pubblico, di espandere quello che si pensa delle relazioni queer, mi auguro davvero che noi si sia riusciti ad allargare la discussione.

Nick Offerman: La penso come te. Sai, ho una falegnameria qua a Los Angeles, ho cinque dipendenti, quattro sono donne. È un team molto variegato in tanti modi differenti. La prima persona ad aver gestito il mio negozio è stata questa piccola, potentissima lesbica. Una lavoratrice incredibile, tre volte più dedita di quanto non lo fossi io stesso. La gente spesso restava sorpresa per via degli stereotipi, no? “Cosa? Una donna? Che usa degli arnesi e degli attrezzi?”. La trovo una cosa così sciocca. Come quando scappa fuori che ho una falegnameria “Oh, roba per papà, robe da garage!”. Per me sono stereotipi vecchi, genderizzati, e proprio perché vengo spesso accusato di “mascolinità” o di fare robe che vengono associate a essa, o peggio, che virano verso la misoginia o la mascolinità tossica, ogni volta che col nostro lavoro contribuiamo a trasmettere l’idea che anche le ragazze possono usare i martelli o che gli uomini possono preparare i biscotti o ogni possibile combinazione di queste cose… amo davvero farlo. L’horror e l’azione, che sono generi molto popolari, che vengono consumati da tutti, più riusciamo ad abbattere i muri presenti in questi generi meglio è.

V’identificate coi vostri personaggi? Nel senso, avreste fatto quello che vediamo fare loro in The Last of Us alle prese con una situazione apocalittica analoga?

Nick Offerman: Amo saper fare le cose. Amo sapere come funzionano le cose per non dover sempre chiamare qualcuno in caso di necessità. Amo essere preparato di fronte agli imprevisti. Non arrivo ai livelli di Bill, ma a casa ho sempre dei kit d’emergenza pronti qualora dovesse esserci un forte terremoto. Per il resto, provengo da una famiglia molto affettuosa e non mi piacerebbe mai essere solo e isolato come Bill. Probabilmente, se fossi stato al posto suo, avrei provato a fare alcune delle robe che fa lui, con una sostanziale differenza: avrei cercato di trovare altra gente. Vengo da una famiglia molto grande e so bene che più si è meglio è, che è importante avere delle persone vicino, che non affronterei mai nulla da solo e mi piacerebbe avere un Frank accanto da salutare ogni giorno e con cui condividere la vita piuttosto che avere a che fare solo con la mia faccia grinzosa!

Murray Bartlett: Sono alquanto simile a Frank nel senso dell’apprezzare le gioia della vita e dello stare in connessione col prossimo. Amo avere relazioni genuine, di affetto con le persone che fanno parte della mia vita. Da quel punto di vista siamo sicuramente molto simili. Lui ha perso le persone con cui stava viaggiando e, in se fossi stato al suo posto, probabilmente avrei cercato un altro gruppo di persone con cui girovagare perché non riesco a immaginarmi da solo in un ambiente come quello, come dicevo prima non sono la persona più pratica di questo mondo, ma se voglio riesco a esserlo. E gradisco davvero la compagnia. Mi piace chiaramente avere del tempo a disposizione per me stesso, ma in un ambiente come quello di The Last of Us cercherei sicuramente un branco al quale unirmi.

Trovate tutte le notizie su The Last of Us nella nostra scheda.

La serie è disponibile in esclusiva su Sky e in streaming su NOW.

Potete seguire la redazione di BadTaste anche su Twitch!