Se dovessi riassumere tutto True Detective in un solo aggettivo sarebbe: affascinante. Perché, al di là delle splendide interpretazioni, dei dialoghi così diversi da ciò che siamo abituati a vedere in tv, della fantastica tecnica messa al servizio della storia (qualche volta anche il contrario, come nel caso dell’ormai celebre piano sequenza di Who Goes There) il grande collante di questa immensa, microscopica vicenda è il fascino che riesce ad emanare. C’è una soddisfazione quasi personale – come se noi spettatori c’entrassimo qualcosa – nel partecipare al racconto di una storia in cui ogni elemento riceve la giusta attenzione, in cui nulla è superficiale o buttato via, in cui tutto ha una sua intima bellezza che deriva innanzitutto dalla cura che vi è stata riversata.

True Detective, dove la prima parola del titolo della serie assume un valore sempre più importante nel definire i contorni e gli obiettivi dello show di Nic Pizzolatto. Ad un certo punto Marty si r...