Il poliziesco di True Detective per come lo intende Nic Pizzolatto corteggia solo marginalmente la struttura del giallo classico. Può lasciar intendere talvolta la volontà di appoggiarsi al tradizionale whodunnit, un accumulo di informazioni tra le quali si annidano collegamenti logici che svelano il colpevole per chi ha orecchie per ascoltare. Ma, sotto la superficie, si agitano riferimenti più lontani, dal noir all’hard boiled, che trascendono l’intreccio del singolo caso per raccontarne la sovrastruttura che lo genera. C’è un ambiente malato tutto intorno, che puzza, gorgoglia nel buio, infetta e imputridisce i grigi territori del sud degli Stati Uniti.

E quel male ha vari nomi. I Tuttle della prima stagione come gli Hoyt della terza, due facce della stessa medaglia coperta da un velo di omertà, quando non di incredulità. La rete di controllo e il potere corruttore dell’ambiente e di chi lo abita, che travia ciò che c’è di più puro e innocente. E riesce...