Da un microcosmo ad un altro, da una gabbia naturale ad una artificiale, da Lost ad Under the Dome i nomi del produttore esecutivo Jack Bender e dello sceneggiatore Brian K. Vaughan si innalzano, insieme a quello di Spielberg, nel team creativo alla base dell’attesa trasposizione del romanzo di Stephen King. Il risultato è quello di un pilot soddisfacente, che non eccelle in niente ma nemmeno delude, che fa il suo dovere nel ripartire il minutaggio tra i vari protagonisti della storia, che posiziona in maniera chiara sulla scacchiera tutti i suoi pezzi delineandone pregi e difetti.

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L’immagine dell’uomo intrappolato, schiacciato da pareti, invisibili o meno, tormentato da barriere che, oltre a spezzare i contatti con  l’esterno, interrompono anche il normale svolgersi della vita sociale corre per tutto il Novecento. Dalle gigantesche cupole in cui veniva sprofondata l’umanità negli Abissi d’acciaio di Asimov, alla forza misteriosa che per alcune ore ...