Isaac Asimov non è solo le tre leggi della robotica. È molto di più di colui che ha prefigurato l’intelligenza digitale. Allora perché i suoi libri sono stati pressoché ignorati fino ad ora dal mondo del cinema? E soprattutto: è veramente così?

In Mythic Quest, lo scrittore fallito C.W Longbottom (F. Murray Abraham) desidera essere un autore di fantascienza di successo. Vuole rigettare su carta la sua fervida immaginazione, creare universi narrativi infiniti, cambiare la percezione della realtà. Avere anche fama, soldi e donne non gli dispiacerebbero, ma è disposto a rinunciarci. Insomma, vuole essere Isaac Asimov, suo grande mito, ma senza possedere la stessa dedizione, il talento, la conoscenza scientifica e l’umiltà. 

Longbottom non viene capito. I giovani dell’azienda di videogiochi protagonista della serie lo trattano come il vecchio nonno, talvolta delirante. Basta però poco e lo scrittore trova l’idea giusta che sblocca le situazioni di stallo. L’anziano parla lo stesso linguaggio narrativo delle nuove generazioni, si emoziona per le stesse cose che emozionano loro. Li annoia quando parla della sua vita, ma -pur non avendo un grande talento- viene consultato quando si tratta di storie.

Lui, un ottantenne ubriacone ha impostato la narrazione di una ricchissima saga videludica. Questo perché Isaac Asimov, e con lui i suoi seguaci per inclinazione e filosofia, non è invecchiato di un giorno. Nemmeno la sua idea di fantascienza, anzi, la realtà sta man mano adeguandosi alla sua visione del futuro. Stiamo raggiungendo il punto in cui tutte le ossessioni dello scrittore (il corpo, la robotica, l’intelligenza che sviluppa la società) stanno diventando cronaca. Una sirena troppo forte per passare inascoltata dai produttori cinematografici (e seriali).

Ci avevano già provato in passato, senza grande successo e senza crederci troppo. Difficile farne una colpa: la prosa di Asimov è ricca, dettagliata, ma anche coinvolgente nel modo in cui cattura il lettore e lo introduce in un viaggio complesso tra scienza e fantasia. Tradurre il fascino dei suoi libri, la sua accuratezza e plausibilità, nella sintesi di un film significa fare scelte e sacrificare per forza qualcosa. Spesso inserendo dell’azione forzata, che poco gli appartiene.

Io, Robot, uno dei tentativi più celebri, è una macedonia di suggestioni dello scrittore. Trova una forma film piuttosto completa, per lo meno godibile, ma perde tutto ciò che è la visione di Isaac Asimov. Non solo annacqua le tre leggi della robotica (poi aggiornate a quattro), ma perde lo slancio da futurologo sull’impatto che l’intelligenza artificiale potrebbe avere sull’evoluzione umana.

1) Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. 3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.

Le tre leggi hanno guidato lo sviluppo concreto dell’intelligenza artificiale nel mondo reale. Uno dei grandi dilemmi delle automobili a pilota automatico riguarda proprio queste regole: in caso di incidente inevitabile chi proteggere e a che costo? Per la fantascienza cinematografica sono state invece la base per tante storie in cui queste stesse leggi venivano violate. Una deriva action contraddittoria e non necessaria.

Io_Robot Asimov

Il genio di Isaac Asimov va però oltre questa piccola invenzione, così nota a Hollywood. Nei suoi libri lo scrittore ha molte altre ossessioni. Ama il rapporto cause e conseguenze nel tempo. I grandi fenomeni valutabili in secoli, l’impatto di un evento o una scoperta sull’evoluzione. Trova l’emozione però anche nella carne, con un costante confronto con l’impotenza e il superamento della stessa rispetto ad un altrove misterioso.

Ne è un esempio il racconto Il segregazionista: nel futuro le protesi robotiche sono di uso comune. A un importante uomo è stato assegnato il diritto a una morte ritardata. Si reca così da un medico per farsi sostituire gli organi malati. Gli impianti di plastica sono in disuso, le persone preferiscono quelli metallici per assomigliare sempre di più ai robot. Creature così evolute da avere pieni diritti. Eppure il chirurgo cerca invano di persuadere il paziente a farsi innestare un componente in fibra. Ad operazione finita il medico commenta con contrarietà il fatto che l’essere umano cerchi di assomigliare ai robot. Tutto dovrebbero mantenere il più possibile il loro corpo, dice. Ci persuade. Salvo scoprire poco dopo che proprio il dottore è un automa, razzista nei confronti degli umani. 

Un tema ripreso da L’uomo bicentenario di Chris Columbus, tratto dal racconto The Bicentennial Man e dal romanzo The Positronic Man di Asimov. Molto amato dalla televisione, il film non accarezza però mai la complessità filosofica dello scrittore. Si appiattisce sulla trama e si affida al volto di Robin Williams per toccare i cuori delle famiglie. Lacrime e sdolcinatezza ci sono, manca la profondità dei sentimenti e degli stimoli. 

Figlio di immigrati russi in America, Isaac Asimov si affermò negli anni ’40 come stella polare di una nuova epoca: l’età dell’oro della fantascienza. Il genere esplode tra il grande pubblico grazie ad un graduale aumento dell’istruzione e per il lavoro di persone come John W Campbell. Egli fu un curatore editoriale che intuì le potenzialità delle riviste di fantascienza, ospitando i talenti che segnarono il genere. Prima di Asimov l’unione tra scienza e letteratura era considerato materiale di intrattenimento, non troppo distante dai fumetti o dallo sfogo dell’immaginario senza pretese di autorialità. Nella rivista di Campbell invece la fantascienza assumeva contorni più definiti, i personaggi erano a tutto tondo, con una psicologia chiara e complessa.

Nella sua vita Isaac Asimov ha sempre seguito la sua propensione alla divulgazione scientifica. Ha inserito tutta la sua preparazione accademica, restituendo spesso l’impressione al lettore di non stare solo sfogliando un’opera di ingegno, ma anche di incontrare fatti e teorie che alimentano il dibattito scientifico. 

L'uomo bicentenario Isaac Asimov

Il cinema non riuscì a fare questo prendendo Asimov e descrivendolo in immagini. Però Asimov riuscì, nella sua rivoluzione, a toccare anche il cinema. Sono poche le opere tratte direttamente dai suoi scritti, ma sono altresì numerosi i debiti del genere verso il suo modo di intendere la fantascienza. Un settore della narrativa che vive sull’incontro di più discipline. Ne è un esempio la psicostoriografia al centro del ciclo della Fondazione. Isaac Asimov la teorizza unendo la storia sociale con la psicologia, aggiunge la fisica, modelli matematici e probabilistici. Un mix che crea una nuova scienza, capace di prevedere l’evoluzione futura.

La fantasia di Isaac Asimov rimane ancora tutta da esplorare. Nightfall (Notturno) e pochi altri esperimenti a basso budget, oltre ai due titoli di “serie A” già citati, non sono nemmeno un antipasto di quello che potrebbe arrivare. Abbiamo sempre percepito le conseguenze delle sue idee, come la vita cibernetica di Ex Machina, o l’atmosfera che permea gli episodi più riflessivi di Star Trek. In gran parte però fu solo la sua robotica ad entrare nell’immaginario filmico. L’androide di Alien, Robocop, Automata, o l’esplorazione shakespeariana di Il pianeta proibito sono figli delle sue idee.

In questo lasso di tempo però sembra che il cinema si sia lentamente preparato. Evolvendosi si è adeguato al suo incredibile corpus di opere tutte collegate, ma al contempo indipendenti. I cicli suonano molto al pubblico più giovani come “fasi”. Il riferimento è chiaramente al più riuscito esperimento di una narrativa intrecciata, quello dell’MCU, ma anche a tutte le strutture delle epiche, siano serie TV divise in stagioni o franchise prodotti in trilogie.

Una trasformazione delle forme di fruizione dell’audiovisivo che ha anche cambiato il pubblico. Siamo più propensi ad accogliere l’incredibile quantità di informazioni e di ore di visione che comporta la Fondazione. È diventato anche sufficientemente semplice realizzare per immagini tutto ciò che è pensabile, senza che le difficoltà tecniche o i costi blocchino lo sviluppo.

Occorrerà vedere come verrà accolto il ciclo della Fondazione, da poco arrivato su Apple TV+ con l’immenso carico di aspettative e di ambizioni che si porta appresso. Potremmo però essere alle porte della scoperta di un nuovo “pozzo senza fondo” da cui rilanciare la fantascienza per immagini. È il periodo giusto, per tecnica, mezzi e contenuti.

Dopo decenni in cui ne abbiamo avvertito le scosse ci stiamo forse avvicinando all’epicentro di un terremoto a lungo ignorato? L’epoca di Asimov al cinema potrebbe iniziare a breve.

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