La parola chiave di qualsiasi adattamento contemporaneo è “rassicurante”. E Cowboy Bebop, serie live action tratta dal popolarissimo anime degli anni ’90, è un esempio perfetto. Adattare una storia da un medium all’altro è qualcosa che è sempre stato presente, prima al cinema e poi nelle serie tv, ma in tempi molto recenti qualcosa è cambiato. Il percorso del giudizio su un’opera è mutato, e si è frantumato in una miriade di micro opinioni istintive spalmate lungo tutta la fase del marketing (sul casting, i trailer, le foto, etc…). I social sono una cassa di risonanza che funziona sia verso l’esterno che verso l’interno, e in molti casi l’attenzione a non attirarsi le antipatie della fanbase supera quasi l’esigenza di costruire un appeal per il progetto. O almeno ne è una parte essenziale.

Cowboy Bebop, è facilissimo capirlo, rientra perfettamente in quegli adattamenti per i quali bisogna camminare in punta di piedi. La condanna social è lì, pronta in agguato, decisa a non perdonare qualsiasi sbavatura. Tutto questo rientra in un serioso discorso di “rispetto” tra il filologico e il sacro per il materiale originale che, normalmente, non dovrebbe avere nulla a che vedere con un adattamento. Adattare vuol dire tradire e, sebbene la cultura dell’omaggio pop recente da Stranger Things a Ready Player One racconti una storia diversa, riconoscere un riferimento di per sé non comporta nessun valore aggiunto per l’opera. Casomai, le toglie personalità.

COWBOY BEBOP: UNA SIGLA CHE È TUTTA UN PROGRAMMA

Ora, nulla di tutto questo vuole o può essere un giudizio su Cowboy Bebop in quanto serie. Anche perché ancora dobbiamo vederla. Ma è comunque un segno dei tempi. Prendiamo la sigla del live action di Cowboy Bebop, modellata interamente su quella originale dell’anime di Shinichiro Watanabe. Yoko Kanno e i Seatbelts, con brani come Tank!, Space Lion, Green Bird e tantissimi altri hanno scolpito l’anima stessa della serie anime. Riproporre una “cover” (tanto per restare in tema) di quella sigla significa dimostrare quel rispetto che secondo molti va messo sulla bilancia, e evitare anche di cimentarsi in un confronto inevitabile che li vedrebbe sconfitti. È quindi una scelta sbagliata? No.

Ma il punto è quello. La sigla di Cowboy Bebop esiste ormai come feticcio intoccabile in rete, è quasi un oggetto slegato dalla serie a cui appartiene. Provate a cercare “Cowboy Bebop intro parody” su YouTube e vi si aprirà un mondo. Praticamente quella sigla oggi è un template sul quale montare riferimenti a qualsiasi altra opera. La scelta qui allora è simbolica, una dichiarazione d’intenti lanciata ai milioni di fan per dire loro: “tranquilli, abbiamo visto l’anime e vogliamo rassicurarvi”. Che non è troppo diverso dalle parole spese più volte in questi mesi dai diretti autori dello show. Lo showrunner André Nemec ha dichiarato:

Vi prometto che non porterò mai via l’anime originale dai puristi. Esisterà sempre là fuori, ma sono davvero emozionato a proposito delle storie che andremo a raccontare. Credo che abbiamo fatto davvero un buon lavoro nel non violare il canone in nessun modo, ma semplicemente offrendo uno sguardo più ampio ad un mondo che era già stato creato.

COWBOY BEBOP: DIFENDERE IL “CANONE” DELLA SERIE

Ora, la voglia di rassicurare che traspare da queste parole è comprensibile, ma queste non erano necessarie. Dovrebbe essere ovvio che l’opera originale rimarrà sempre lì e che nessun remake, reboot, legacyquel o qualsiasi neologismo recente potranno rimpiazzarla. E, per essere chiari, non esiste alcun “canone” da violare. La parola canone, oggi svuotata di qualunque senso, indica la presenza di una coerenza interna, di punti fissi intoccabili per la trama. Ma questo è un adattamento, non esiste un canone di Cowboy Bebop a meno che non si consideri una rappresentazione ideale, immutabile e assoluta di Spike Spiegel, Jet Black, Faye Valentine e gli altri. E questa non c’è.

Sono rassicurazioni che cadono in un vuoto non richiesto? No. Il pregiudizio c’è, eccome. Basti pensare alle lamentele sull’assenza di Edward dal materiale finora diffuso, e alle quali Netflix ha risposto ironicamente (ma anche in questa ironia c’è voglia di rassicurare). Lamentele da fan un po’ distratti forse, dato che Ed appare solo nel nono episodio della serie, ed è legittimo pensare che verrà giocata come cliffhanger della stagione. E, questo va detto, gli adattamenti live action degli anime-manga non hanno avuto grande fortuna fino ad ora (flashback traumatico su Dragonball: Evolution e Death Note).

COWBOY BEBOP: I TRAILER

Il teaser Lost Session, diretto da Greg Jardin, è davvero particolare. Da un lato presenta uno stile frenetico, fatto di split screen, inquadrature che ruotano, cambi di scenario. È più una presentazione del mood dello show che un’anticipazione di quel che sarà. Ed è sicuramente la cosa più creativa e particolare uscita fino ad ora. Anche se pure qui è un tripudio di riferimenti, a partire dalla traccia Green Bird che accompagna l’arrivo in scena di Vicious e quindi un riferimento ad uno dei momenti migliori dell’anime (in realtà tra i migliori dell’animazione seriale tutta). E il nome session fa riferimento ai titoli delle puntate dell’anime.

Il trailer meriterebbe un’analisi a parte, comunque ci sono davvero tanti riferimenti che permettono di ricostruire alcune delle puntate dell’anime che verranno riproposte. C’è Pierrot, l’Organizzazione, Teddy Bomber, New Tijuana. E per l’ennesima volta lo showdown tra Spike e Vicious nella chiesa. Il tono in effetti qui sembra molto scanzonato, e non c’è molto spazio per quella serietà malinconica che permea il racconto della serie. Ma ci sarà spazio anche per quella.

E se tutto questo discorso vi sembra già eccessivo, sappiate che probabilmente non è nulla rispetto a quello che ci attende con One Piece.

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