Quella di WeWork è solo una delle tante storie di follia-idee-successo-crollo legate al mondo degli imprenditori e delle nuove tecnologie. La serie tv WeCrashed targata Apple TV+ che racconta l’ascesa e il vero declino della startup immobiliare va ad inserirsi in un gruppo ben nutrito di serie e film simili dedicati alle figure di guru in vari campi, soprattutto tecnologico – più che alle loro imprese – trattati come antieroi contemporanei.

WeCrashed è girata con l’interesse di raccontare le esuberanti personalità del co-fondatore di WeWork Adam Neumann (Jared Leto) e di sua moglie Rebekah (Anne Hathaway). La serie è basata sul podcast di David Brown uscito nel 2020 su Wondery. Tutto quello che accade nella trasposizione di finzione dei fatti realmente accaduti è una questione di ego e di carisma. Ai narratori interessa sempre andare in alto, indagare i massimi sistemi economici rappresentati in questo caso dalle enormi compagnie tecnologiche, per poi vederle crollare. Più sono grossi più fanno rumore.

Da The Social Network a WeCrashed

Non certamente il primo, ma sicuramente colui che più di altri è riuscito a codificare questo nuovo rapporto con la modernità, è stato David Fincher. Il suo The Social Network ha richiesto un po’ di anni prima di essere preso a modello. Jobs e il successivo Steve Jobs (scritto sempre da Sorkin) erano assai meno problematici. Costruivano al loro eroe un’immagine mitologica. Erano film che indagavano l’imprenditore per capire però l’impresa.

Invece oggi The Social Network è ovunque, anche in WeCrashed. Perché ribalta questa prospettiva: partono dalla new economy, dai giganti tech, per scoprire le persone che hanno a capo. Loro sì, ben più interessanti di quello che hanno costruito. Per supportare un livello tale di stress e di grandeur deve esserci un briciolo di psicopatia, a volte anche di autolesionismo. È normale quindi che ora tutti i personaggi sembrino un po’ lo Zuckerberg di Jesse Eisenberg. Geniali, soli, tristi, depressi, ma spietati e affamati. Perché sono più interessanti.

Il cinema è così che vede la tecnologia per la maggior parte dei casi. Uno strumento sempre al confine tra aiutare l’umanità e distruggerla. Che sia un contesto di complottismi come Mr. Robot o “meta” come in Matrix: Resurrections, la figura del genio è anche squilibrio. Solo qualche mese fa Mark Rylance interpretava il guru Peter Isherwell in Don’t look up. La perfetta fusione tra Jeff Bezos, Tim Cook e Elon Musk fatta personaggio.

mark rylance don't look up

Gli studio hanno gioco facile dato che, soprattutto con quest’ultimo, le uscite pubbliche dei multimiliardari sono segno di una totale disconnessione con la realtà. Musk che sfida Putin a un combattimento per le sorti dell’Ucraina è solo l’ultima delle molte stramberie “da film”. Badate bene, spendere fantastiliardi in acquisizioni mastodontiche, se raccontato nel modo giusto, può sembrare il piano di un folle onnipotente. “Lo voglio, lo prendo”. Persino investire in progetti come Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere, La ruota del tempo, Fondazione può essere raccontato come il desiderio di nerd arrivati in una posizione di potere solo per realizzare sogni di infanzia.

Sappiamo che non è così. Dietro ogni mossa ci sono logiche di mercato, posizionamento, visioni a lungo termine che rispondono a un consiglio di amministrazione e tengono conto delle reazioni degli investitori. Ma al cinema e alle serie tv la realtà non interessa, semmai si usa la finzione per leggere il presente.

Sbarcare il lunario seguendo vie non battute

Mythic Quest - Stagione 2

Le comedy tech come Mytic Quest: Raven’s Banquet ruotano attorno alle difficoltà di creare un ambiente di lavoro positivo ed efficiente quando si hanno a disposizione personalità eccentriche. Siamo in cui uno studio di produzione di videogiochi che è tenuto sotto scacco dagli umori di Ian Grimm, il geniale ideatore di un MMORPG di grande successo. Il lavoro fornisce il contesto, ma l’obbiettivo di realizzare il gioco è simile a un McGuffin per andare a parlare di altro. Gli stessi personaggi potrebbero star lavorando a un film, un album, un libro, e cambierebbero solo i comprimari, ma non le loro dinamiche interne.

Allo stesso modo Fincher non parlava di Facebook, ma di quello che faceva alle persone la pressione di avere il futuro del mondo nelle mani. A tal proposito: batta un colpo chi si ricorda l’orribile The Circle. Tratto dal romanzo di Dave Eggers, il film racconta di un dispositivo che permette al mondo intero di vedere immagini da tutto il mondo senza limiti. Intreccio a parte, quello che conta è che tutte le scene madri si svolgono durante le presentazioni dei prodotti. Gli eventi sono, nella realtà, i momenti in cui le aziende si aprono al pubblico, dove sembra di entrare dentro i laboratori per vedere le ultime novità.

L’audiovisivo ama tantissimo questo momento. Che sia Tony Stark di Iron Man o il CEO Marc Weidell di Ron – un amico fuori programma, il genio deve avere un palcoscenico. Riflettori puntati, un microfono e l’equivalente dello “spiegone” dei cattivi. Solo che questa volta raccontano i piani di sviluppo di nuovi oggetti ai confini della magia. È quasi matematico che le cose andranno male. Perché come WeCrashed ci porta per mano ad assistere ad un fallimento, anche le tecnologie finte sono più interessanti quando creano problemi invece che risolverli. 

The circle wecrashed

I guru tech sono i nuovi villain?

Certo che no, ma non sono nemmeno i nuovi supereroi. Nessuno incarna l’ambiguità meglio di questi “tipi” narrativi. Un tempo c’era l’eroe senza macchia, l’esploratore alla Ulisse, la donna fatale, il cattivo deforme e grottesco. Oggi ci sono i guru tech come esempio di doppiezza. Impossibile conoscere le loro vere intenzioni: quando sono autenticamente buoni le cose gli sfuggono di mano; quando hanno evidenti tratti di psicosi perversa… a volte cambiano il mondo in meglio.

Sorprendentemente il cinema d’autore indipendente è molto più timido nell’attaccare queste realtà. Nomadland poteva essere un gol a porta vuota contro Amazon. Invece si è svestito da qualsiasi afflato polemico e politico e ha cercato la maggiore oggettività possibile nel mostrare le vite dei lavoratori stagionali presso i suoi magazzini. La catena di produzione è solo un passaggio nella vita di persone libere che hanno imparato a usare questi nuovi lavori senza diventarne schiavi.

La lettura più interessante, sincera e attuale la dà però Succession. Un magnate delle telecomunicazioni sta affrontando un passaggio di consegne del timone della sua società. Possiede tv tradizionali e giornali, influenza la politica con il suo potere. Determina l’opinione pubblica tramite la sua propaganda. I figli che si contendono il posto devono fare i conti con la diffidenza del padre verso le high tech company che invece rischiano di superare i media tradizionali.

La successione del titolo non è quindi tanto quella ai vertici quanto più il braccio di ferro tra il presente e il passato. Una bolla destinata a sgonfiarsi e ad assestarsi in una convivenza con i giornali e le news tradizionali o sono questi gli strumenti che sanciranno la morte dell’informazione vecchio stile? La serie si premura che la domanda non divida mai i buoni dai cattivi. Tutti hanno interessi, giochi di potere, e in segreto controllano il mondo operando nell’ombra, ma con più efficacia della politica anche negli equilibri geopolitici. 

Succession wecrashedLa figura dell’imprenditore delle nuove tecnologie geniale, ma squilibrato, è una delle creazioni narrative più recenti e nuove. Un modello di personaggio arrivato da poco e ancora tutto da esplorare. Da come li si rappresenta traspare una fascinazione quasi erotica mista però all’inquietudine del futuro che arriva travolgente. Amarli o odiarli? Lasciarsi sedurre o mettere in salvo la pelle?

C’è solo un problema in tutto questo. Quando ci chiediamo se il ricco imprenditore che ha portato la terra alla distruzione in Don’t look up sia un villain o meno, lo stiamo facendo guardando Netflix. Quando ridiamo dell’industria dei videogiochi e quando WeCrashed ci fa pensare “ma tu guarda questi!”, lo facciamo di fronte a Apple TV+. Il film arthouse di Chloé Zhao può essere facilmente fruito andando su Disney+. Insomma vale sempre la pena chiedersi se sia l’arte a raccontare i grandi innovatori della new economy o se siano loro, attraverso i prodotti che finanziano, a raccontarsi attraverso l’arte.

Essere controversi, in fondo, è pur sempre un’arma per far parlare. Sapere ridere di sé è il modo migliore per far dimenticare il potere assoluto che detengono attraverso i dati e la ricchezza sconfinata che possiedono. Ma questa, forse, più che una teoria è solo una paura del complotto.

I film e le serie imperdibili